A 41 anni di distanza dalla strage di Bologna: la più grave accaduta in Italia.
di Luigi Casaretta
Sabato 2 agosto 1980 ore 10:25, nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna affollata di turisti, un ordigno a tempo, contenuto in una valigia abbandonata, venne fatto esplodere causando il crollo dell’ala Ovest dell’edificio. La bomba, composta da 23 kg di esplosivo, consistente in una miscela di 5 kg di tritolo e T4 potenziata da 18 kg di gelatinato (nitroglicerina a uso civile) di fabbricazione militare, provoca la morte di 85 persone ed il ferimento o la mutilazione di oltre 200 persone.
E’ la strage più grave accaduta in Italia. I soccorsi furono immediati, taxi, autobus e auto private furono adibite ad ambulanza, la città di Bologna già toccata dalla strage di Ustica (l’aereo era giusto partito da Bologna) si ritrovò immersa in una nuova ennesima strage.
Si parlò di una vecchia caldaia scoppiata ma dopo si scoprì che l’ordigno era stato posto nella valigia sistemata a circa 50 centimetri d’altezza su un tavolino portabagagli sotto il muro portante dell’ala Ovest, allo scopo di aumentarne l’effetto: l’onda d’urto, insieme ai detriti provocati dallo scoppio, investì anche il treno Adria Express 13534 Ancona-Basilea, che al momento si trovava in sosta sul primo binario, distruggendo circa 30 metri di pensilina e il parcheggio dei taxi antistante l’edificio.
Si pensò alla pista palestinese, al coinvolgimento di servizi segreti stranieri; si arrivò alla produzione di dossier fasulli come quello prodotto dal SISMI, fino a depistaggi orchestrati da parti dello stato italiano deviato, finché la pista dei NAR (nucleo armato rivoluzionario) di matrice di estrema destra apparve la più accreditata con il coinvolgimento della loggia P2 e di Licio Gelli.
I processi contro gli esponenti di estrema destra si conclusero solo dopo molti anni in cui la sentenza definitiva della Cassazione del 23 novembre 1995 condannò all’ergastolo, quali esecutori dell’attentato, i neofascisti dei NAR Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, che si sono sempre dichiarati innocenti. L’ex capo della P2 Licio Gelli, gli ufficiali del SISMI Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, ed il faccendiere Francesco Pazienza (collaboratore del SISMI) furono condannati per il depistaggio delle indagini.
E’ di questi mesi però la conferma che in quella sala d’attesa vi era anche il terrorista nero Paolo Bellini riconosciuto in un filmato girato da un ignaro turista tedesco, che riprende il primo binario della stazione tra le 10.13 e le 10.25, quando scoppia la bomba. Nelle immagini finali si vedono i feriti, le macerie, i morti, il disastro: la strage in diretta.
Il video, recuperato dall’avvocato dei familiari delle vittime, Andrea Speranzoni, presenta dietro una colonna, un uomo con i baffi, calmissimo, ora identificato in Bellini che per quarant’anni ha goduto di un alibi falso smentito in sede processuale dalla ex moglie. Solo nel 2019, quando la procura generale le ha mostrato il video, la signora Maurizia ha ammesso che aveva dichiarato il falso. La mattina della strage, in verità, Bellini arrivò a Rimini «molto tardi». Un dato confermato, sotto giuramento, anche dal fratello Michele. Sull’uomo del video, la signora non ha dubbi: «È sicuramente il mio ex marito, lo riconosco da quella fossetta sulla guancia…». La testimone conferma pure un altro indizio: «Quando era latitante in Brasile, si è fatto togliere un neo ed accorciare il naso». Nella nuova indagine, che ha recuperato anche le testimonianze di due detenuti, gli stessi riferivano che le confidenze fatte all’epoca da suo fratello Guido, in carcere, poco prima di morire furono che: «La bomba a Bologna l’ha portata Paolo Bellini, che ha incassato 100 milioni di lire». Il 9 marzo 1983, però, l’indagato ha opposto un alibi, confermato il giorno stesso dalla moglie, Maurizia Bonini: non poteva essere a Bologna alle 10.25, perché alle 9.30 era ancora a Rimini, in partenza per una vacanza con la famiglia al Tonale. Ma il castello di bugie dopo quarant’anni è caduto.