di Francesca Bruciano
“Io e l’India” è il titolo della personale di Monica Palumbo che ha esposto le sue opere nel laboratorio Maclis in piazza S. Pasquale 10 fino al 20 dicembre.
La mostra, a cura di Valeria Polly Ferronetti, è un ideale viaggio nel cuore dell’India ed un progetto dedicato al forte senso di spiritualità di una terra verso la quale l’artista si sente attratta e impegnata a sostenere, attraverso donazioni, le comunità svantaggiate. “Immagini, forme, colori ed echi di una terra lontana” prendono vita e raccontano storie surreali che schiudono un mondo fatto di armonia, amore e sacralità. “Pur non avendo mai visitato l’India – spiega Palumbo – sono rimasta colpita ed affascinata da un popolo così povero ma pieno di risorse, cultura, divinità e dove la coesistenza di così tante religioni si concilia in modo pacifico, esempio di vera globalizzazione”. Tra i suoi lavori spicca una piccola collezione di gioielli di cui fa parte il rifacimento del rosario indiano, simbolo religioso che si identifica con l’Albero di Loto tanto caro a Madre Teresa di Calcutta, cui in parte è dedicata la mostra. Il percorso espositivo accoglie installazioni a figure geometriche e simboliche di divinità dotate di grande energia spirituale. Ne sono esempio quella a cinque strati dedicata al Tempio di Shiva, tempo materiale e spirituale, dio distruttore, conservatore e creatore dell’universo, rappresentato da un orologio fatto in plexiglas unito a una sostanza plastica che si cristallizza col calore. Esso simboleggia il trascorrere del tempo e il cambiamento positivo atteso da tutti i popoli. Come pure l’elefante nero astratto, che in natura non esiste, considerato sacro e realizzato con una particolare tecnica a vernice. Infine il sogno Mandala, circolo della vita e auspicio di un ordine interiore, che crea armonia con i colori dell’India e i petali d’oriente. Ma la mostra suggerisce anche opere introspettive attraverso disegni e pitture che riguardano l’io. Queste contraddistinguono la scelta stilistica dell’artista che ha voluto sintetizzarle in tre momenti. “L’amico trasformista”, “La torre di burattini” con un forte richiamo al mondo infantile e alla sua precarietà, e un doppio autoritratto del sé e dell’io, a significare il dualismo esistente in ogni individuo. A chiudere il cerchio una sezione di lavori trasposti in favole surreali e dedicata interamente all’infanzia. Una dimensione magica, un mondo incantato, nel quale si celebra il diritto ad essere “bambini”.