Uccisa la boss a sangue freddo. Quella donna era nel mirino dei clan rivali e doveva essere uccisa. Non voleva pagare il pizzo sulle piazze di spaccio del suo territorio, nel Parco Conocal di Ponticelli. Questo il probabile movente dell’omicidio di Annunziata D’Amico, sorella di Giuseppe detto “fraulella” e Antonio, ritenuta la reggente del clan criminale. La boss è stata centrata almeno cinque volte da un killer dal volto coperto.
Al dinamica dell’agguato è quello dell’agguato punitivo. Siamo in via Flauto Magico, la donna è sotto casa, in strada, assieme a un uomo e a un’altra donna. Parlano, sembrano rilassati. Davanti ai loro occhi si materializza la sagoma di un uomo armato, con un passamontagna nero. Lei capisce tutto e scappa, prova a nascondersi dietro un’auto, ma viene raggiunta da un primo colpo alla schiena, prova a scappare ma il killer non ha esitazione: la insegue e spara, scarica la sua pistola quasi del tutto, e la finisce. Due colpi al ventre, altri due alla nuca, mentre la D’Amico prova inutilmente una via di fuga. Resta ferito ad una gamba anche il suo conoscente, quello con cui si intratteneva a parlare, ma si tratta di un colpo di risulta ad una gamba.
Meno gravi le condizioni del ferito, Ciro Gioia, colpito di striscio a una gamba e subito interrogato dagli inquirenti. L’inchiesta è condotta dal pool anticamorra e dal PM aggiunto Filippo Beatrice e coordinata dai PM Henry John Woodcock, Antonella Fratello e Francesco Valentini, titolari dei fascicoli sulla faida di Ponticelli. Fondamentali i primi accertamenti compiuti dal commissario Vittorio Porcini e dagli uomini della Mobile guidati dal primo dirigente Fausto Lamparelli.
In via Flauto Magico gestiva la piazza di cocaina della zona, uno snodo obbligato per il quartiere, che fruttava e frutta migliaia di euro alla settimana. Droga, armi e controllo del territorio; legata sentimentalmente con Salvatore Ercolani (detto Chernobyl), aveva preso le redini del clan familiare creato dai fratelli. Secondo Maria Grandulli, una delle collaboratrici di giustizia della zona, “Annunziata era il vero e proprio capo della famiglia D’Amico”. Gestiva l’arsenale di famiglia, tanto che sono gli inquirenti a ricordare il via vai di ragazzi in scooter per rifornirsi di armi in casa della D’Amico. Una scia di sangue che risale al clan Sarno, una cosca scompaginata grazie al pentimento dei suoi vertici.
Al di là degli sgarbi o rancori le ragioni della faida hanno un carattere esclusivamente economico. Stando alle ricostruzioni più recenti, Nunzia D’Amico aveva detto no alla richiesta di tangente sulle piazze di spaccio che cadevano sotto il suo controllo. Niente soldi ai nemici, una sfida aperta a quelli del rione De Gasperi. Sapeva di poter contare sempre e comunque su un appoggio armato, in una protezione che ieri non è stata capace di impedire ai killer l’agguato di via Flauto Magico. Eppure aveva messo in piedi una serie di precauzioni di cui avevano parlato di recente anche alcuni collaboratori di giustizia. Come l’accesso nella sua abitazione: “Chi saliva dalla ”passilona” – ha raccontato un pentito – doveva lasciare le armi in mano a un loro affiliato, che le metteva in un vano ricavato in ascensore, così nessuno si impressionava e si poteva parlare di affari”.
Droga e estorsioni. Come le tangenti imposte a un sistema di piazze sotto il controllo dei boss di via Flauto Magico. Un esempio? Uno dei figli più piccoli di Nunzia, un ragazzino minorenne, era spedito a prendere 500 euro alla volta da una piazza di spaccio di un proprio affiliato. Una tangente imposta nello stesso circuito criminale. Altro esempio dello spessore della donna? Aveva sempre voce in capitolo. Racconta un pentito: «Andammo a casa di ”Chernobyl” ma a parlare fu solo lei”. Poi la presenza fisica nel quartiere. C’è addirittura chi ricorda le sue sortite in sella a un Beverly guidato da un affiliato per fare il “giro dei citofoni”.
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