Oggi compio un anno e mezzo di vita all’estero e vorrei scrivere un pezzo di colore sui miei concittadini. Cioè, proprio nel senso che mi piacerebbe scrivere qualcosa sull’uso dei colori da parte dei berlinesi, che come avrete già letto certamente da qualche parte (mica vi posso dire tutto io) sono tutto e il contrario di tutto.
I berlinesi possono essere ordinati fino alla paranoia (vostra) e casinisti fino allo svenimento (loro). Possono arrivare ad un appuntamento puntuali e inesorabili come un rutto al quarto sorso di coca-cola ghiacciata oppure sconvolgersi d’erba e non ricordarsi neanche di averlo, il “Termin” con voi. Possono essere eleganti e sofisticati come la Garbo o avere il garbo di un gruista di centocinquanta chili al lunedì mattina, prima di cominciare il suo turno di otto ore. Dal lunedì al venerdì possono vergognarsi di mangiare un Brezel o di parlare al telefono, per poi vomitarvi sei litri di birra sui piedi al sabato notte, come se la reazione emetica fosse prevista anche dal galateo di Giovanni Della Casa. Le donne possono rifiutarsi di incrociare i vostri occhi sulla metro anche sotto minaccia armata oppure abbassarsi disinvoltamente le mutande e urinare in una piazza illuminata a giorno. Insomma, i berlinesi possono essere tedeschi oltre ogni ragionevole dubbio oppure la cosa più lontana dall’idea di tedesco che l’immaginario collettivo italiano riesca a partorire.
I colori di Berlino:
Tornando ai colori, il mio luogo preferito di “Deutschewatching” rimane senza dubbio la metropolitana. Nove volte su dieci è meglio della pay-tv, ci potete scommettere il porcellino salvadanaio. Prendiamo ad esempio la U7. Quaranta fermate da capolinea a capolinea. Quaranta porte e altrettante possibilità. Dove si nasconderà il vincitore del quiz “chi ti veste al mattino”?
La vettura si fermerà, le porte scorreranno, e noi che siamo cresciuti a forza di “azzurro e marrone perfetto cafone e il grigio va col rosso” e che padroneggiamo già da bambini l’alchimia dei “tono su tono” vedremo sgretolarsi in un nanosecondo tutte le nostre certezze cromatiche. Entra il sessantenne con i pantaloni classici color lavagna, gli stivali pitonati, l’impermeabile verde e il cappellino da baseball blu con la bandiera della Germania stampata sulla visiera. Nuova fermata. Scende lui ed entra la donna in pelliccia leopardata con foulard multicolore al collo, occhiali da sole rossi alzati sulla fronte e stivali di gomma arancione fluo. Ancora uno stop e la felina daltonica lascia il posto alla protagonista del film “Cronache di Narnia 16, cinquant’anni dopo”.
E vogliamo parlare del giovane completamente in giallo con il cappello da cow-boy che incrocia i propri passi con la cinquantenne abbigliata proprio come Heidi, se nonno Alm l’avesse chiusa per punizione in cantina nel 1972 e liberata giusto oggi? E ancora colori sgargianti, e accostamenti al limite del codice penale e tute e calze e cappellini e scarpe e sciarpe e tutto il cazzo che gli si frega, tutto rigorosamente indossato Accapokkias, che è l’antico termine greco con il quale noi napoletani amiamo indicare il caso.
Io un’idea me la sono fatta, e bisogna fare un lungo passo indietro nel tempo. Lo scrittore tedesco Goethe, in una conversazione con il suo amico Eckermann risalente a quasi duecento anni fa, affermava di essere l’unico poeta del suo tempo ad aver visto chiaro “in questa difficile scienza del colore”. Nella sua “Farbenlehre“, il saggio intitolato la “Teoria dei colori“, il caro Johann Wolfgang contrapponeva alle teorie newtoniane un punto di vista esattamente opposto: non era la luce a scaturire dai colori, bensì l’inverso. Schopenhauer – che era di origine polacca ma che possiamo considerare tedesco a tutti gli effetti, visto che a casa Goethe ci andava un giorno sì e l’altro pure – continuò gli studi del maestro sposando l’idea che sia la polarità tra luce bianca e oscurità in un mezzo torbido a generare i colori. “E ‘sti cazzi” direte voi. Invece no. Perché – Goethe o non Goethe – è proprio l’oscurità l’elemento chiarificatore.
Sono proprio questi oscuri nove dodicesimi di anno solare trascorsi sotto un elegante, uniforme e pur palloso cielo grigio tenebra a generare nei berlinesi l’effetto opposto. Insomma, per dirla come un bambino delle elementari italiane, gli abitanti della capitale tedesca non sono degli incorreggibili cafoni, sono soltanto – per necessità e oserei dire per istinto di sopravvivenza – dei “colorosi”.
Tschuess dal vostro Khanakis.