Eroe per caso o per scelta? La banalità del bene

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banalità del bene

Il fatto: Luciano D’Agostino, 16 anni, in difesa di una compagna molestata fuori scuola da un branco di dieci ragazzi, viene picchiato e ha una prognosi di 25 giorni per i danni subiti. Il fatto che Luciano fosse anche un atleta del Circolo Canottieri, in realtà, non fa nessuna differenza. Il suo gesto sarebbe stato eccellente se anche fosse stato l’ultimo dei ragazzi su questa terra. Questo è quello che deve essere sottolineato, che chiunque può rendere straordinaria la propria azione nell’ordinario della propria realtà.

Il suo intervento non è stato guidato dall’essere un atleta, ma dall’essere una persona che non sopporta le ingiustizie e che, pur mettendosi a rischio, sa riconoscere le cause per cui esporsi. Interrogato sui motivi del suo intervento, Luciano ha dichiarato “Mi è sembrato normale”, ed è questa la verità è “anormale” il comportamento di chi non interviene, di chi certamente aveva visto che stavano infastidendo una ragazzina e non è intervenuto, di chi non può non aver notato che in dieci si sono scaraventati con violenza su un solo ragazzo che ha provato a difenderla.

‘La banalità del bene’

Luciano ha dimostrato con il suo gesto e con il suo pensiero che esiste la ‘banalità del bene’ e non solo quella del male; ha dimostrato che è possibile non restare indifferenti e ritenerlo “normale”. Gli altri, gli assalitori e gli indifferenti, hanno manifestato, in realtà tutta la propria debolezza e l’inefficacia e il disvalore della propria presunzione di forza e superiorità.

E’ un eroe, Luciano? No, non è un eroe, ma un ragazzo consapevole e responsabile capace di intervenire sulla realtà, capace di esserne parte, capace di provare a modificarla… questo è molto di più che essere “eroe”. Gli eroi sono distanti, le loro abilità danno di loro l’immagine di esseri superiori o più dotati; gli eroi possono essere “venerati”, ma sono percepiti come “altro da noi”. Non è questo che bisogna cercare, perché nella distanza tra noi e l’eroe c’è tutto l’abisso tra la non-azione e l’azione e del sentirsene giustificati.

Il motto “smonta il bullo” può non essere solo uno slogan, può essere la realtà di un quotidiano responsabile e condiviso, può diventare la regola di relazioni corrette oltre ogni retorica propagandistica.

Il segreto non è nel coraggio individuale, ma nell’educazione alla ‘banalità del bene’, nella responsabilità cosciente e non effimera di essere tutti coinvolti in uguale misura nella formazione di una coscienza positiva che ponga accanto all’altro in ascolto e ce ne faccia sentire coinvolti.

Perché è così complicato semplicemente disporsi ad ascoltare? Perché anche ascoltare è una responsabilità. Accorgersi dei propri silenzi come delle omissioni nelle scelte formative è una colpa. Chiudere gli occhi e fingere di non vedere è già una scelta, sbagliata, ma una scelta.

Educare i propri figli a difendersi invece che a vivere è già un indirizzo e un percorso. Insegnare che imporre se stessi con la forza sia il viatico a maggiori conquiste e alla considerazione del gruppo è già azione. Instillare, goccia dopo goccia, la filosofia della prevaricazione a fini personali è già domani e, in realtà, è già quell’oggi che in tanti criticano, delusi e offesi per essere stati abbandonati, nei poteri che governano senza rappresentare, nella perdita di senso e di una direzione umana del comune agire.

È facile, ma non risolutorio, dire “è così perché è sempre stato così”, ma questo significa falsare la realtà e non immaginare di poter costruire con gli altri la pace. Significa semplicemente adattarsi a un modus vivendi che non corrisponde alle aspettative e alle esigenze dei più. Luciano D’Agostino è un esempio, uno tra tanti altri rimasti nascosti perché con nomi forse meno “visibili”, ma la cui straordinaria ordinarietà è stata la risposta responsabile ai comportamenti irresponsabili di altri. Questo dipende da tutti e da ciascuno.

Educare alla responsabilità può essere la chiave per cambiare il presente e dargli un significato e un valore nuovo. Non adattarsi agli stereotipi può essere il percorso da seguire. Imparare a cogliere la profondità e l’imprescindibilità delle relazioni umane può essere la chiave di volta nella ricerca di senso. Formare giovani che abbiano fiducia e non paura dell’altro può essere la risposta al vuoto di significato che spesso contraddistingue la nostra epoca.

Nessuno si salva da solo, nessuno è escluso dall’obbligo di dare forma alla realtà… alle realtà. La presunzione di verità come quella di innocenza, non si reggono su gambe solide se non le si mette continuamente in discussione e in relazione con il resto. Non sono le scelte comode o “di comodo” quelle che ascoltano il presente e costruiscono nel presente il futuro.

La storia di uno è la storia di tutti.

di De Vita Loredana