Voleva essere un uomo e come un uomo, un boss, un camorrista, è stata uccisa, Giovanna Arrivoli. La donna trovata morta lunedì sera a Melito, dopo due giorni in cui è stata brutalmente torturata dai suoi assassini, prima di essere finita con tre colpi d’arma da fuoco (due in fronte e uno al torace). Tutti dettagli, così come la faccia rivolta verso il terreno, che fanno pensare sempre più a un regolamento di conti di matrice camorristica.
Giovanna Arrivoli uccisa per non aver versato nelle casse del clan i proventi di una partita di droga
Voleva diventare uomo, appunto, lei che si era già sottoposta all’intervento d’asportazione del seno e aveva una compagna, a testimonianza dell’amore per la quale portava anche una fede al dito. Era titolare di un bar di Melito, il Blue Moon, che era più di un semplice punto di ritrovo per il clan scissionista degli Amato Pagano, che proprio lì decidevano le loro strategie. Clan al quale era affiliato Carmine “Carminiello” Borrello, cognato di Arrivoli. La pista seguita dagli inquirenti è che, dopo l’arresto di quest’ultimo, avvenuto a febbraio, Giovanna lo avesse sostituito in tutto e per tutto nella gestione dei suoi affari. La i quali la gestione della piazza di spaccio della zona di via Lussembrugo.
La donna avrebbe intascato indebitamente alcuni proventi del traffico di droga senza versarli nelle casse del clan. Sgarro che gli affiliati non le avrebbero perdonato.