Non scavalcare quel muro (Nulla Die): romanzo di Loredana De Vita

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Le storie di donne sono spesso storie accorate, di resistenza, di una forza nascosta che poco spazio lascia alla commiserazione.

La storia narrata nel romanzo di Loredana De Vita, Non scavalcare quel muro, edito da Nulla Die, è una di quelle storie che lasciano un segno e non solo per il dolore o per la violenza che la vita della protagonista racchiude dentro di sé, quanto per i segni che invisibili e indelebili marchiano come a fuoco la vita di chi diviene vittima indiretta: i figli.

L’autrice, con linguaggio semplice e diretto, conduce il lettore verso inattesi risvolti nella vita delle persone che restano coinvolte. Come in una partitura teatrale, la protagonista del romanzo, Maria, porta il lettore sul palco, come se la storia stesse svolgendosi in quel momento esatto.

Come un’opera teatrale è divisa la struttura del romanzo.

Tre parti come i tre atti di un dramma moderno. La prima parte, più lunga, conduce il lettore nelle viscere di un amore malato in cui c’è solo da perdere; la seconda parte, un po’ più breve, mostra una forma o almeno un tentativo di riscatto per liberarsi dal male e dal vuoto; la terza parte, brevissima, conclude vorticosamente un dramma che diviene tragedia sospesa e che, il lettore percepisce, non è solo la tragedia della protagonista, ma quella di chi, silenzioso, resta a guardare.

Come in un’opera di teatro, c’è anche il coro che trasporta il lettore in una narrazione parallela che si abbraccerà fino a convergere completamente nella storia di “Maria”, origine e madre.

“Non scavalcare quel muro” è un monito e un richiamo, un suggerimento e un allarme cui nessuno dovrebbe sottrarsi o restare muto a guardare.

Un romanzo coinvolgente, lungo ma veloce, accurato da un punto di vista letterario ma vivo come la carne e il sangue di chi soffre e muore…

Prossima l’uscita di “Non scavalcare quel muro” di Loredana De Vita, Nulla Die edizioni.

Una storia che vuole essere narrata, una voce che vuole essere ascoltata.

recensione Giovanni Copertino

 

SINOSSI ‘Non scavalcare quel muro’

Attraverso il racconto di una madre e la scoperta di una lettera, una figlia si inoltra in un viaggio che la porterà a penetrare sempre più nei segreti sconvolgenti della sua giovinezza.

Due generazioni di donne, l’una innestata nell’altra, l’una che ha riposto nella cura per la vita dell’altra la profonda ragion d’amore che diviene fonte di resistenza e sostegno nel percorso che troveranno dopo aver “scavalcato il muro” che le poneva in balìa del mondo falso e perverso dell’uomo che doveva  amarle.

Una storia dura, a tratti cupa, che si snoda dagli anni del secondo dopoguerra in cui la libertà di una donna era condizionata dalle convenzioni sociali, fino ai nostri giorni in cui la pretesa maschile di dominio della vita dell’altra si manifesta nella forma fisica e volgare della violenza.

Questo romanzo visita attraverso lo sguardo dolente ma lucido di una figlia che conosce la storia della madre, le contraddizioni di scelte d’amore sbagliate, il male subito per una vita intera, la liberazione guadagnata attraverso l’amore per i figli fino all’approdo finale nell’incontro con sorella morte.

MOTIVAZIONI

L’ autrice è in primis una conoscitrice di anime. Una che entra nella parte più intima delle persone con discrezione, in punta di piedi, ma scuotendo come un uragano che irrompe all’improvviso se necessario.

Ho avuto il privilegio di leggere i suoi saggi e ne ho acquisito maggiore comprensione per le persone e i loro comportamenti.

Questo romanzo, di cui ho letto buona parte, mi ha molto emozionato. Mi ha fatto piangere, ma non mi ha intristito. Ha scavato dentro di me provocando ricordi sopiti, storie di famiglia, di madri e figli.

Questo romanzo è una carezza sul cuore, e solo se il cuore del lettore ha una ferita, questo romanzo sarà sale e a molti servirà per ricostruire il proprio passato, la propria vicenda personale e discorrere con i ricordi abbandonati nell’intimo della memoria.

O più semplicemente porterà a guardare ad un’attualità fin troppo dolorosa ma utile affinché ci possa essere un superamento.

L’impegno e il rispetto per i lettori è grande. La storia, dolorosa e cruda, è intrisa di responsabilità.

Anche con i silenzi e con le parole non dette, i suoi personaggi riescono a raccontare storie di vita.

Molte le pagine che lo compongono, ma, non mi hanno stancato. Tutt’altro… Ho avuto difficoltà a staccarmene perché Maria, la protagonista, andava ascoltata, e con lei tutti gli altri.

L’amore per la vita o il desiderio di morte, il peccato o la violenza, l’egoismo o l’odio sono figli della stessa madre e talvolta per sopravvivere bisogna morire.

Perché un lettore dovrebbe leggere questa storia? Perché il passato è nel presente e si valuta poco quanto certe storie di violenza non finiscano nella vittima e nel carnefice dichiarati, ma continuino nelle storie di chi in silenzio le ha osservate e vissute. Sono storie che offrono una speranza solo nella consapevolezza di chi riesce a raccontare.

Perché è un racconto che si intreccia con la vita e la morte. Non una biografia o una cronaca, ma una deposizione al Tribunale degli assenti: chiamare a comparire il fabbro che col fuoco ha scaldato il ferro torcendolo irrimediabilmente per sempre e che non tornerà più dritto. Diventerà più bello, ma mai più dritto.

Un monito per l’oggi. Una catarsi per quel che è stato. Il lettore rischia di trovare molto di sé stesso, del sul presente o del suo passato.

Raccontare è resistere… le parole, così come le idee e le cose che sono chiamate ad esprimere, hanno una storia che deve essere nominata affinché non imploda e si disperda inutilmente.

GENESI DEL LIBRO

Ecco che la storia di Maria prende il volo… la sua vita complessa, dura, apparentemente senza fiato se non nel riscatto da una condizione di violenza, vuole raccontarsi. Maria, continuamente, cerca un equilibrio tra il proprio dolore e il bene per i suoi figli; cerca, continuamente, una libertà che non le è più concessa perché l’occhio dell’altro, la paura del giudizio della gente limita il suo sguardo e, soprattutto, il bene per sé. Riuscirà nel suo intento di riscattare la libertà dei suoi figli? Riuscirà a rompere il silenzio? Saremo pronti ad ascoltare nel profondo questa voce silenziosa che racconta senza parlare? “Il silenzio delle donne è la loro tomba” dice la voce narrante di “Non scavalcare quel muro” ( pag. 180 L. De Vita, Nulla Die, 2017), ma ci sono tombe in cui coloro che amiamo restano comunque sepolti, vittime altrettanto innocenti e inermi. Quando ho ascoltato la storia di “Maria”, con il passare del tempo ho dovuto riascoltarla ancora e vedere con i miei occhi le prove tangibili dell’accaduto mentre quelle invisibili mi venivano rivelate in un doloroso sussurro. Come restare indifferenti? Come non vedere sul proprio corpo e nel proprio io le tracce indelebili di una realtà tanto sconvolgente? Quando ho chiesto il permesso di raccontare quella storia così, nuda e cruda, ho avuto paura di ricevere un rifiuto, ma non è stato così. Una sola cosa mi è stata chiesta, “raccontala senza distacco, prova a sentire come sentivo io, altrimenti non sarai una buona testimone”. Una responsabilità e un peso grandissimo, sapevo che un semplice “sì” non sarebbe bastato come risposta e ci ho messo un po’ di tempo prima di decidermi. Quando ho deciso, però, non ho avuto fretta; mi sono data il tempo di sensibilizzarmi davvero su quel dolore, certo, ma soprattutto il tempo di ragionare sulle motivazioni che hanno spinto “Maria” a comportarsi come ha fatto. Ci sono voluti anni, ho avuto paura di non farcela. C’è stato un momento in cui la sua storia diventava la mia e non riuscivo più a separarmene. La scrivevo ovunque, persino sui biglietti del treno, sull’agenda che uso per organizzare le mie lezioni a scuola, su post it attaccati ovunque; scrivevo la storia cercando nello sguardo di chiunque quello sguardo indurito e ferito che a lungo aveva sostato nei miei occhi mentre si raccontava. Poi, un giorno, per un banale errore, persi buona parte di quello che avevo scritto sul computer e inutili furono i tentativi di recuperarlo affidati a mani esperte. In quel momento mi sentii persa, pensavo che era un segno, che non ero degna e brava abbastanza da raccontare la storia di “Maria”. Non ascoltavo le voci di chi mi incitava ad andare avanti, poi seppi della morte di “Maria” e pensai al vuoto in cui la abbandonavo, come fosse condannata al silenzio… e piansi, tantissimo sentendo non solo di essere stata inutile, ma di averla tradita. Crollai sul divano e mi addormentai. Sognai mia madre che mi diceva di cambiare in “Maria” il nome fittizio che avevo dato alla protagonista e che in origine era “Silvana”. “Maria”, mi piaceva! Era un nome comune dal gusto onnicomprensivo, ma semplice e dal suono mite e facile da ricordare. Lo pronunciai ad alta voce nel sogno e mi rimase impresso sulle labbra fino al mattino quando, un po’ scoraggiata, aprii il file sul computer con il poco che era rimasto e con l’opzione “trova e sostituisci” modificai Silvana in “Maria”. Maria fu ed è, perché da quel momento ricominciai a scrivere fino al punto di pubblicare. “Maria” parlava ancora, tutti i strani appunti presi mi aiutarono a dare una cronologia agli eventi e la presenza di mia madre in sogno con quel suo suggerimento e sostegno, mi diede la chiave di volta della narrazione: unire un evento doloroso e sconquassante per me (il funerale di mia madre) e il dolore di “Maria”. Mi sentii ancora più vicina a lei, sebbene i nostri dolori fossero tanto diversi, sentii che potevo farcela e che potevo dare voce alla mia “dolce musa del silenzio” come riporta la dedica sul libro. Io so che il viaggio non è ancora finito. So che scrivere quella storia non è che l’inizio di un percorso che non sarà facile. Io lo sto percorrendo, ci sarà chi voglia percorrerlo con me?