Omicidio Gianluca Cimminiello, ergastolo per i boss Arcangelo Abete (mandante) e Raffaele Apre (co-esecutore)

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gianluca cimminiello

I giudici della quinta sezione della Corte d’Assise di Napoli pochi minuti fa hanno condannato il boss Arcangelo Abete, imputato come mandante, e il boss Raffaele Apre (co-esecutore) all’ergastolo per l’omicidio  di Gianluca Cimminiello (foto sopra), il il 31enne tatuatore vittima innocente di camorra. Presenti nell’aula 116 del Tribunale di Napoli Susy e Palma Cimminiello (sorelle di Gianluca), accanto a loro Fabio Giulaini referente regionale Libera Campania, Bruno Vallefuoco, papà di Alberto Vallefuoco e referente Libera Memoria, il giornalista Arnaldo Capezzuto, la scrittrice e giornalista Anna Copertino e diversi cittadini. Un cerchio che si chiude dopo la condanna all’ergastolo di Vincenzo Russo, esecutore materiale dell’omicidio.

I giudici non hanno avuto dunque nessun dubbio sul coinvolgimento dei due boss nell’omicidio, grazie anche alle dichiarazioni concordanti di diversi collaboratori di giustizia, su tutti Biagio Esposito, l’ex reggente del clan, e di Carmine Cerrato, collaborati di giustizia, i quali hanno confessato che ad ordinare l’esecuzione furono rispettivamente il boss Arcangelo Abete e Raffaele Aprea.

I due condannati dovranno inoltre pagare subito una previsionale di 25 mila euro ai congiunti della vittima e versare risarcimenti a tutte le parti civili. I due imputati hanno assistito alla lettura della sentenza video-collegati rispettivamente dal carcere di Opera e da quello di Voghera. Prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio, entrambi si era professati innocenti, accusando il pubblico ministero di raccontare falsità, etichettando inoltre i due collaboratori come calunniatori.

Gianluca Cimminiello ucciso per aver respinto un commando che voleva intimidirlo

Gianluca Cimminiello aveva suscitato la gelosia di un tatuatore concorrente, che si rivolse ai soggetti che poi organizzarono una spedizione intimidatoria nei confronti di Cimminiello. Ma il commando ebbe la peggio: la vittima era esperta di arti marziali e riuscì a far desistere gli aggressori. Un affronto che il clan decise di non perdonare. E così pochi giorni dopo Cimminiello fu affrontato e ucciso con due colpi d’arma da fuoco sparati a distanza ravvicinata.

Una morte nata per un innocente scatto postato su Facebook da Gianluca Cimminiello, una foto che lo ritraeva con il calciatore argentino Lavezzi, all’epoca calciatore del Napoli, scattata fuori alla stadio e ritoccata dallo stesso per far sembrare che l’attaccante, appassionato di tattoo, fosse con lui dentro al suo studio di tatuaggi. Una foto che ha fatto andare su tutte le furie il suo rivale Vincenzo Donniacuo, detto il ‘cubano’. Si perché il ‘cubano’ doveva avere lui l’esclusiva di ‘disegnare’ sulla pelle del calciatori del Napoli e Gianluca Cimminiello non doveva permettersi di fargli tale affronto.