Corruzione. E’ solo una questione penale?

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Come noto, nel nostro Paese la corruzione è a livelli molto elevati e, quindi, costituisce un vero e proprio cancro della nostra comunità nazionale.

Credo che sia il caso, però, anche al fine di contrastare efficacemente questo pervicace fenomeno, di provare a esaminare la corruzione (intesa non solo come grave violazione della legge penale, ma soprattutto come tradimento del patto di cittadinanza) come effetto perverso dell’immaginario collettivo.

Come è assodato che esiste, da un punto di vista culturale e di genere, un nesso tra le frasi sessiste (in quanto espressione di una intima visione subalterna della donna) e la violenza fisica vera e propria, così dovrebbe esserci consapevolezza del fatto che esiste una precisa forma di causa ed effetto tra la torsione nichilista e individualista della società e la corruzione.

Indipendentemente dalle responsabilità penali che vanno accertate nelle aule giudiziarie, occorre sottolineare l’aspetto deteriore di certi diffusi convincimenti che facilitano la corruzione e che cercheremo di indicare.

Certo la corruzione è un problema che riguarda anche altri Paesi, ma è indubbio che l’aspetto patologico assunto nel nostro Paese è un dato di fatto.

L’attuale senso comune ha generato la devastante idea che il proprio agire, la propria identità può fare a meno del sentirsi parte di una comunità di esseri umani e, quindi, non ritenendo che il proprio benessere (da non intendersi solo quello economico) può e deve essere costruito in relazione all’”altro”.

Purtroppo, quella che è una vera e propria ideologia dominante ha pervaso le coscienze e ha creato la simbolica del denaro come unico produttore di senso.

In questo ha contribuito molto la crisi della politica che non è stata più capace di incidere, modificando progressivamente al meglio, la vita quotidiana delle persone, di quelle senza potere.

Questo annichilimento della politica, ridotta nel migliore dei casi a buona amministrazione, ha oggettivamente rinvigorito l’idea che nulla si può fare per risolvere i problemi della collettività e che l’unica cosa meritevole da farsi è quella di curare il proprio orticello, di badare solo a sé stessi, di svolgere al meglio il proprio “compitino”.

Una sostanziale accettazione dello “status quo”, con l’unico obiettivo di gettarsi nel consumo di merci.

In uno scenario sociale così arido e rassegnato, attecchisce molto più facilmente la corruzione. Gode di prestigio sociale l’arricchito in quanto tale ovvero colui che nella percezione diffusa è stato vincente o, per meglio dire, molto furbo. E’ pleonastico precisare che la furbizia non è sinonimo di intelligenza.

Pertanto, il giudizio di valore non si basa su che cosa la persona fa per la comunità civile, ma per la sua capacità di emergere da una presunta “modestia collettiva”.

Se non vogliamo consegnare alle nuove e nuovissime generazioni una realtà da giungla, nella quale vige solo la legge del più forte e il debole soccombe o messo ai margini, occorre reagire da parte di tutti a questa ferale deriva.

In tutti i campi lavorativi, associativi, politici, istituzionali e civili è possibile operare per ristabilire un principio di appartenenza ad una comunità di persone e ciò è da intendersi innanzitutto come rifiuto della pratica “del si salvi chi può”. E’ da intendersi come costruzione, giorno dopo giorno, di vere e genuine relazioni tra gli esseri umani, pena un definitivo imbarbarimento dei rapporti sociali.

di Vincenzo Vacca