“La mafia uccide, il silenzio pure”. La lezione di Peppino Impastato

0
430

Quel ragazzo magro, con gli occhiali e la barba incolta, nato in una famiglia di mafia, capace di preferire la giustizia sociale e la lotta, ai legami di sangue. Voglioso di ritrovare nell’opposizione alla mafia la propria ragion d’essere. Peppino Impastato è la rappresentazione che nascere in una determinata famiglia non determina il tuo modo di essere. Personaggio divenuto mito con una storia ormai leggenda. Scrittore, poeta e antagonista alla mafia, inizia la sua leggenda a Cinisi a Palermo il 5 gennaio del 1948 in una famiglia delle più influenti della mafia. In giovane età capì la situazione familiare, dopo vari diverbi con il padre se ne andò di casa e iniziò così la sua battaglia contro quella che era la famiglia stessa.

Peppino Impastato divenne noto ai “piani alti” di Cosa nostra come un personaggio scomodo: una persona che denunciava quello che si doveva denunciare era cosa rara nella Sicilia di quegli anni: dall’ampliamento dell’aeroporto di Punta Raisi al traffico di droga, passando per gli affari del cemento, in cui imprenditori, politici e mafiosi andavano a braccetto. Peppino denunciava con gli amici, quelli di Radio Aut. Quelli che amavano sentire i suoi scherni rivolti a “Tano Seduto” Badalamenti, capo della cosca mafiosa di Cinisi in provincia di Palermo. Quegli stessi amici che erano alla ferrovia la mattina del 9 maggio 1978, ma a cui fu impedito di avvicinarsi alla scena del delitto. Morte, a quanto pare, passata purtroppo in secondo piano perché in quello stesso giorno, fu ritrovato il cadavere di Aldo Moro, rapito e ucciso dalle Brigate Rosse.

Spacciato per suicidio, sono trascorsi 23 anni per decretarne l’omicidio grazie al magistrato Rocco Chinicci che abbracciò l’anima di Peppino come fosse un suo figlio, ma in seguito assassinato a sua volta. Le archiviazioni, nel 1984 e nel 1992, furono ostacoli superati solo da quell’inchiesta del 1995, che avrebbe portato alla condanna all’ergastolo di Gaetano Badalamenti nel 2002, mentre l’anno prima, Vito Palazzolo, suo braccio destro, rimediava trent’anni di prigione. Peppino Impastato sapeva cosa fosse la mafia. La mafia come potere, come sistema, come connubio, come prevaricazione dei diritti dei lavoratori e dei diritti dei cittadini.

Questa era la mafia contro cui si batteva Peppino Impastato. Forse allora occorre ricordare che quest’anno il “Centro Siciliano di Documentazione Giuseppe Impastato” (a lui dedicato dopo la morte), compie 40 anni. Aveva iniziato le sue attività nel 1977 insieme a Peppino. Il primo convegno verteva sulla strage di Portella della Ginestra, avvenuta 30 anni prima e che aveva troncato le vite di 11 persone tra cui giovanissimi come Vincenzina La Fata (8 anni) e Giovanni Grifò (12 anni).

“La mafia uccide, il silenzio pure”, Peppino Impastato

Tessy Turino

Emanuela Bartoli