di Vincenzo Vacca
Non si ribadisce mai abbastanza che la data del 25 aprile 1945 rappresenta la vittoria della libertà e della democrazia nei confronti della dittatura e della barbarie. Il quel giorno, primeggiò, dopo tanta sofferenza, tanti lutti, il principio per il quale tra i popoli deve esserci concordia non sopraffazione. Il 25 aprile non rappresentò solo la vittoria di una parte contro l’altra in quella che è stata anche una guerra civile, oltre che una guerra di liberazione. Italiani contro italiani. Però, chi alla fine prevalse è fu un fronte variegato al suo interno, ma unito su un fondamentale assunto: basta con la dittatura fascista alleata con la Germania nazista. Ripristino delle libertà e costruzione di un nuovo stato democratico.
Certo, tutti i morti devono essere rispettati, ma nella consapevolezza dei motivi per i quali si è morti. La Resistenza costituì per il nostro Paese anche un recupero di dignità e prestigio a livello mondiale, dopo che per vent’anni avemmo una dittatura che coinvolse il Paese in una sciagurata guerra. Aspettare passivamente la liberazione degli Alleati, non ci avrebbe restituito un minimo di rispetto nel consesso mondiale. La Resistenza italiana dimostrò che non tutti gli italiani erano fascisti e, in definitiva, difese davvero il futuro del Paese furono gli antifascisti. Tra l’ altro, ci fu un forte recupero della lezione di Matteotti, il quale si batté fino alla fine per affermare l’antifascismo in quanto tale. Una posizione che non fu accolta fino in fondo sia dal suo Partito che dagli altri partiti democratici. Senza la Resistenza, non avremmo avuto la Costituzione. Il patto fondativo tra cittadini del nuovo Stato. Avremmo ottenuto solo una generica libertà, ma non una costruzione molto articolata e finemente normata dei diritti politici, sociali e civili.
È un fatto che quella che è diventata la canzone per antonomasia della Resistenza è “bella ciao“, nonostante che i partigiani ne cantassero diverse altre. Ci si chiede spesso perché “bella ciao” è quella che più ha segnato l’immaginario collettivo. Infatti, non viene cantata solo in Italia, ma in tanti altri Paesi. Molti movimenti giovanili che nascono in diversi Stati per chiedere libertà e democrazia ritengono naturale cantarla. Come mai? Come è potuto succedere che una canzone della nostra Resistenza ha attraversato i decenni ed è approdata in altri Paesi? Io credo che è potuto accadere per il fatto che non è una canzone lugubre. Non lancia invettive o promesse di morte ai nemici. È una canzone, invece, d’ amore volta al superamento dell’ odio nei confronti di tutti. In buona sostanza, una canzone di speranza per il futuro. Come italiani, anche di questo, dobbiamo essere fieri. Nella storia abbiamo prodotto miti così forti che sono stati fatti propri da altra nazioni. Ecco perché dobbiamo sempre cantarla nei momenti di rivendicazione di nuovi diritti e di difesa di quelli già potenzialmente acquisiti. Una canzone pensata e cantata in un momento nel quale regnava sovrana la violenza, ma le cui parole sono scevre di immagini di violenza. Sembrerà paradossale, ma la ritengo una canzone di pace e per la pace.