Editoriale – La liberazione di Silvia Romano

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di Vincenzo Vacca.

Dopo circa un anno e mezzo, Silvia Romano è stata liberata. Ripeto, un anno e mezzo. Un terribile periodo per questa ragazza completamente in balìa di uomini armati. In luoghi sconosciuti e lontanissima da casa. Anche se sembra che non l’abbiano mai minacciata di morte, salvo se non avesse provato a fuggire, ogni giorno poteva essere quello della propria morte. Non dimentichiamo che era nelle mani di gruppi terroristi che hanno seminato morte e terrore. Dopo una esperienza di questo genere, ci sono state persone che fanno opinione, testate giornalistiche, leoni da tastiera social che si sono letteralmente accaniti circa le modalità con le quali questa giovane donna è scesa dall’aereo dei Servizi segreti che l’aveva riportata a casa. È stato osservato ogni minimo dettaglio a partire dal vestito che indossava per incolparla del fatto che avrebbe dichiarato di essere diventata credente islamica. Secondo questi “ben pensanti” una cosa inaccettabile. Ho trovato tutto ciò un altro segno evidente di barbarie. Un humus sottoculturale del nostro Paese che spesso diventa maggioritario.

Come si può pretendere di capire le caratteristiche di fondo di Silvia Romano osservando i primissimi comportamenti da persona libera nel proprio Paese dopo essere stata sottoposta a un sequestro per un  periodo non breve che ho provato a ricordare? Provino solo per un attimo a immaginarsi a vivere una situazione del genere tutti quelli che si esercitano in manifestazioni di disincanto e di cinismo dal salotto di casa loro. Tanti di questi, sono gli stessi che, a proposito dei migranti che giungono in Italia per sfuggire alla fame e alle guerre, dicono “aiutiamoli a casa loro”. Peccato che Silvia Romano, appartenente alla nostra meglio gioventù, era andata “a casa loro” per aiutarli. Adesso come la mettiamo? In realtà, quello che non si dice esplicitamente, ma lo si pensa, sta nel fatto che non le si vuole perdonare il suo atteggiamento altruista, la sua empatia per i più sfortunati del nostro pianeta. Lei non si riteneva soddisfatta di avvalersi semplicemente del nostro benessere. Pensava ai tanti bambini soli, abbandonati e andava in quei posti dove faceva un prezioso lavoro: stava con quei bambini. Li faceva giocare. Provava a dargli un minimo di affetto. Non bisogna essere degli esperti per capire, tra l’altro, che un bimbo che cresce senza affetto, da grande tenderà molto più facilmente a fare scelte di vita violente.

In fin dei conti, non si perdona a Silvia Romano, e a tutte le persone come lei, di essere capace di dimostrare che la solidarietà è possibile. Che è possibile vivere senza essere completamente egoisti. Questa è la verità. Il resto è solo demagogia. Isterica reazione alla propria messa in discussione del disvalore dell’egoismo.
Inoltre, temo che tutti questi apprezzamenti negativi lo sono ancora di più perché riguardano una donna. In tutto questo, ne leggo anche un fondo misogino.
Invece, ritengo legittimo il dibattito sorto tra chi sostiene il diritto – dovere di uno Stato democratico di salvare una vita umana e chi sostiene, invece, che ciò aiuta finanziariamente un gruppo terrorista. Ma diffido di chi ritiene che ha la risposta facile, perché questo è un antichissimo dilemma e non possiamo pensare di risolverlo una volta per tutte. Basti pensare alle polemiche, alle divisioni che pure ci furono nel nostro Paese in occasione del sequestro Moro. Ci dividemmo sul trattare o meno con le Brigate Rosse e ancora oggi i dubbi attraverso gli opposti schieramenti.
Sto parlando dell’ eterno conflitto tra legge morale ovvero la pietas con quella della ragione pubblica, la ragione di Stato che vieta di negoziare con il tuo nemico per non rafforzarlo.
Ebbene, in tutta coscienza, chi può sostenere di avere una facile risposta?
Io credo che il primato di una vita può costituire non solo un imperativo morale, ma può trasformarsi anche in un bene pubblico, consustanziale all’ agire collettivo. Diventare legge per tutti. Non dimentichiamo che uno dei principi base della nostra Costituzione, fortemente sostenuto dal Padre costituente Aldo  Moro, è quello di anteporre la persona alla personalità dello Stato, mettendo fine al motto totalitario: “tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato”.
Questa è una scelta che ci caratterizza molto come Italia: la protezione costituzionale della vita, di ogni singola vita.
Pertanto, è un valore che non possiamo liquidare con una alzata di spalle. Va tenuto fortemente in conto nell’ odierno dibattito.