Una questione di legittimità

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di Vincenzo Vacca

Il venir meno della massima attenzione di tutti sul pericolo della pandemia Covid 19, anche se permane una probabilità di una ripresa del contagio, sta riportando alla luce tutti i problemi che il Paese ha di fronte e che erano stati un po’ messi da parte.
Uno di questi è la grave crisi che ha colpito il Consiglio Superiore della Magistratura e di conseguenza sta scalfendo il prestigio dell’intera Magistratura agli occhi dell’opinione pubblica. I fatti sono noti: il caso Palamara sta facendo emergere, al netto di eventuali responsabilità penali che saranno vagliate nelle sedi competenti, un coacervo di pressioni, strategie e alleanze varie per determinare le nomine nei vari Uffici Giudiziari. Un effetto perverso dell’esasperato correntismo all’interno del CSM.

Quello che rammarica e fortemente preoccupa, come accennavo all’inizio, è un indebolimento dell’ autorevolezza di una fondamentale Istituzione del nostro Stato di diritto, la Magistratura. Un aspetto fatto emergere anche da alti esponenti del potere giudiziario e, addirittura, dal Presidente della Repubblica. Infatti, la delicata funzione che esercita la Magistratura è tale che non può imperniarsi solo su fonti legislative, ma anche sulla base del fatto che la gestione della giurisdizione sia scevra da sospetti di parzialità. È dagli anni di tangentopoli che vengono fatte accuse secondo le quali le attività investigative promosse dalle Procure con relativi eventuali processi che hanno portato a condanne o a assoluzioni avrebbero una finalità “politica”. Una sorta di eliminazione politica di un determinato leader di partito non attraverso le elezioni, ma mediante l’azione giudiziaria. Questo clima sta imperversando da diversi anni nel nostro Paese e sta determinando un continuo conflitto tra poteri, anche se nell’ultimo periodo, per motivi vari, si è sensibilmente attenuato.

In ordine alle accuse di cui parlavo, un elemento importante che contribuisce a fare da argine è quello rappresentato da un forte prestigio dell’Ordine Giudiziario. Un prestigio che, se dovesse venire meno, darebbe ulteriore fiato alle accuse di parzialità. È chiaro che un “potente” messo sotto inchiesta, la prima cosa che fa è quello di formulare quel tipo di accusa. Infatti, per troppo tempo i processi sono stati fatti fuori dalle aule dei Tribunali e come opinione pubblica abbiamo perso la consapevolezza che la colpevolezza o l’innocenza si stabilisce nei luoghi deputati a stabilire ciò e non sui media.

Il crollo della cosiddetta prima Repubblica, nei primi anni Novanta, ha determinato anche un vuoto politico. Per esso intendo la mancanza di nuove grandi strategie politiche con un pensiero lungo. Non è un caso che è da quegli anni che assistiamo al fenomeno di nascite e morte di partiti vari in breve periodo. Questo fenomeno, però, non è privo di conseguenze. Infatti, ha ulteriormente incrinato la fiducia nello Stato già carente storicamente nel nostro Paese. Però, tale sfiducia era in qualche modo compensata da una certa fiducia nella Magistratura, vista a giusta ragione come una componente che garantiva una continuità istituzionale. Indipendentemente dalla sua stessa volontà, la Magistratura ha riempito un vuoto. Ha fatto da contrappeso alla mancanza di una forte narrazione politica.

Senza andare ad evidenziare anche gli aspetti negativi che questa percezione diffusa ha generato, sta di fatto che l’Ordine Giudiziario ha costituito un puntello in una situazione di caos. Basti pensare al semplice esempio per i cittadini della rettitudine e della onestà rappresentata dall’attività di un Magistrato. Uno stile umano e professionale pagato spesso anche a caro prezzo come quello della vita.

Ecco perché le vicende non proprio nobili che sono emerse nell’inchiesta nei confronti di Palamara possono avere un effetto devastante. Siamo ancora in una situazione nella quale la politica fatica ancora ad acquisire una vera funzione dirigente che abbia al centro una visione chiara e lungimirante del futuro del Paese. Se si dovesse sommare la perdita dell’autorevolezza della Magistratura, rimarrebbe davvero poco a cui rivolgersi con fiducia nell’assetto istituzionale. Una certa insofferenza alle regole non avrebbe più un serio argine e i “potenti” coinvolti in indagini penali si sentirebbero ancora più autorizzati a parlare di persecuzione nei loro confronti.

A questo proposito, urge una riforma del CSM finalizzata a ridurre il peso delle correnti. Queste ultime dovevano costituire delle forme di approfondimento e di dibattito dell’ attività giudiziaria e, invece, si sono ridotte a procacciatrice di poltrone. Ulteriore segno dell’ involuzione culturale che ha coinvolto anche i livelli alti delle Istituzioni e della società. Io credo che la improcrastinabile riforma del CSM dovrebbe anche rappresentare un momento alto di analisi e di approfondimento dello stato dell’Organo di gestione della Magistratura e dei rapporti tra i poteri del nostro Stato.