Perché per diventare docente di italiano e storia ci si deve esercitare con i “quesiti della Susi”?

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di Noemi Gesuè.

Gentile Ministro Azzolina, io mi sono laureata in Lettere alla triennale e in Storia alla specialistica.
Ho amato la mia università, la Federico II, trovo che meriti il prestigio che le viene riconosciuto in tutta Italia.
Ho amato anche quello che ho studiato, visceralmente. Perché l’ho scelto e ho avuto la possibilità di farlo.
La mia famiglia mi ha permesso di seguire la mia vocazione, di perseguire un obiettivo e di sentirmi a mio agio in una facoltà da molti definita “obsoleta”.
La storia non è obsoleta. Si ripete, per quanto si possa fingere di catalogare alcuni avvenimenti come ciclici.
La lingua italiana e la sua letteratura non sono obsoleti. Ad essere semplicemente rudi dovrebbero essere un passe-partout per qualsiasi tipo di impiego.
Se lei se la sente di far gravare sulle sue spalle l’onere -e l’onore- della bandiera dell’onestà (principio che il suo partito tanto millanta) riconoscerà che queste due discipline enormi le sta trattando un po’ con i piedi.
Io insegno. O almeno ci provo, a insegnare. Insegno quello che ho studiato; in un contesto difficile, in un quartiere quasi ostile e respingente. Insegno a ragazzi già uomini, che dei discorsi su Napoleone se ne fanno poco e niente.
Perchè ne vedono tante di guerre civili. Nel loro microcosmo rionale hanno tante battaglie da combattere quotidianamente e sono perfettamente consapevoli di essere percepiti come ferite infette, purulente e inguaribili ma all’occorrenza portate come trofeo di una “realtà che cambia” senza mai farlo fino in fondo. Io invece ci provo. Nel mio piccolo. A questi ragazzi parlo delle poleis, di Nerone, di come si distingue un pronome da un aggettivo.
E se solo uno di loro mi chiede di parlargli di nuovo del mito di Narciso o del periodo Shogun io sono felice. Felice è un termine semplice ma non per questo banale.
Con le sue manovre Lei sta soffocando ogni mio slancio all’insegnamento, sta annichilendo ogni ambizione e mi sta costringendo ad una resa senza neanche darmi strumenti adeguati per conquistarmi ciò che potrebbe spettarmi. Con una preselettiva votata a falciare una massa indistinta – massa creata da stagnanti residui di graduatorie che non vi siete mai prodigati di aggiornare in tempi consoni- e con quesiti logico-matematici che rasentano il ridicolo per il loro ostentato tecnicismo (mi perdoni, ma lei è sempre la candidata che sul piano dell’inglese ha raggiunto i minimi storici. Come osa proporre criteri così specifici e selettivi in un test che neanche ha introdotto il candidato all’argomento della sua classe di concorso?) lei mi sta togliendo qualsiasi banco di prova degno di definirsi tale, oltre che un’eventuale cattedra.
Io voglio essere valutata. Desidero meritare il mio posto da docente. Ma pretendo di essere valutata sulle MIE materie. Su ciò che ho studiato, su ciò che ha costruito negli anni la mia tesi di laurea, sulle mie classi di concorso, su ció che ho pagato al’Università statale e ciò che dall’Università ho ricevuto per cinque anni.

Bandire concorsi in piena pandemia la trovo una mossa azzardata, ma non sono un Ministro, penso lei sia pronta ad assumersi le responsabilità del caso e mi auguro che non si porti esseri umani sulla coscienza. Però da futura partecipante ad un concorso ordinario posso tranquillamente dirle che ho molte perplessità; mi sembra che lei dopo i precari -mandati allo sbaraglio come cavie in piena pandemia- stia sacrificando la cultura, il background didattico e i percorsi dei docenti che verranno.
Nella speranza che trovi il filo di Arianna in questo suo delirio autunnale le auguro un ottobre più sereno di quello che vivranno i futuri docenti.