21 marzo: non mera celebrazione, ma voglia di riscatto

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L’editoriale di Vincenzo Vacca

di Vincenzo Vacca

Il 21 marzo, primo giorno della primavera, Libera celebra la Giornata della memoria e dell’ impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Ai caduti innocenti per mano delle mafie, infatti, deve essere assicurato di essere ricordati con i propri nomi. Dal 1996, ogni anno, una città diversa, un lungo elenco di nomi scandisce la memoria che diventa impegno quotidiano. Un vero e proprio rosario civile che ha come scopo quello di non fare dimenticare queste persone, nonché quello di abbracciare simbolicamente i familiari, non dimenticando le vittime delle stragi, del terrorismo e del dovere.

È il caso di ricordare che il nostro Parlamento ha approvato la legge n. 20 dell’ 8 marzo 2017 con la quale è stata istituito e riconosciuto il 21 marzo quale “Giornata della Memoria e dell’ Impegno in ricordo delle vittime delle mafie“. Tutto ciò non è assolutamente meramente celebrativo, perché dobbiamo sempre tenere presente che nel nostro Paese c’è stato un lungo periodo storico in cui non pochi studiosi, diversi esponenti politici e addirittura una parte consistente della magistratura, sostenevano che le mafie non esistessero e/o che fossero solo espressione di una sorta di carattere impetuoso degli abitanti di alcune regioni meridionali e che li conduceva ad esercitare forme di giustizia arcaiche.

A questo occorre aggiungere che questo modo di intendere le mafie, o di fingere di intenderle in questo modo, ha contribuito a costruire un blocco storico, tenuto in piedi fino alla fine degli anni ottanta del secolo scorso, al cui interno era presente anche Cosa Nostra al fine di arginare le spinte al cambiamento sociale e politico. Un blocco storico che ha visto la sua fine non in modo istantaneo, ma perdendo nel corso del tempo pezzi importanti. Quando a partire dalla seconda metà dei citati anni ottanta è apparsa progressivamente sulla scena politico – giudiziaria l’ antimafia, quindi una risposta all’ altezza della sfida sul piano legislativo, essa è stata sempre guardata con molta diffidenza, e spesso con ostilità, da ampi settori della politica, della magistratura e dalla opinione pubblica.

Ancora adesso si fa fatica a capire che le mafie non sono forme criminali fisiologiche, ma costituiscono una vera patologia della storia italiana. I mafiosi sono i primi criminali che hanno trasformato la loro violenza in potere stabile e duraturo grazie alle pervasive e compiacenti relazioni sia con settori istituzionali, ma anche della economia, della società civile. Si parla spesso, e giustamente, del processo di radicamento delle mafie anche in zone estranee a questo fenomeno, ma non è una grossa responsabilità dell’ imprenditoria del nord quella di fare affari indipendentemente dal fatto che li si sta facendo con soggetti quanto meno sospetti? Questa ultima forma di radicamento viene considerata la manifestazione politico – criminale più significativa degli ultimi trent’ anni.

Ecco un esempio attuale, ma la storia ce ne fornisce innumerevoli di come la vita delle mafie non può essere separata da quella delle classi dirigenti del Paese. Infatti, semplici organizzazioni criminali non sarebbero riuscite a durare tanto a lungo, né a raggiungere un tale potere. Alle mafie è stato reso possibile grazie al quadro di reciproche relazioni di cui si parlava poc’ anzi.

Migliaia e migliaia di morti ammazzati dal 1861 in poi, di cui almeno 10.000 negli ultimi 30 del Novecento. Almeno 1.000 civili caduti. Centinaia e centinaia di imprenditori, commercianti, sindaci assassinati. Tra il 1905 e il 1966, sono stati uccisi settanta sindacalisti e capilega. Quindici magistrati uccisi e centinaia di vittime tra le forze dell’ ordine. Nove giornalisti ammazzati.

Lo Stato, dai primi anni ottanta, ha progressivamente emanato una legislazione di emergenza che non ha paragone con nessun altro Paese in tempi di pace. Quindi, solo da pochi decenni si è avviata una seria strategia finalizzata a combattere i poteri criminali e ha dato dei risultati straordinari per quanto la lotta è ancora lontana da potersi considerare conclusa.

Tornando alla giornata della “Memoria”, voglio sottolineare il fatto che la caratteristica principale del movimento antimafia negli ultimi decenni è l’ affiancamento a chi è preposto all’ azione di contrasto del fenomeno mafioso, contribuendo, almeno in una certa misura, a cambiare un nefasto senso comune come quello della omertà.

Con la consapevolezza che occorre riportare a sobrietà i soggetti che operano nel campo, in primis i magistrati, non si può però rimpiangere la situazione precedente. Non si può non valorizzare in pieno il valore dirompente dell’ organizzazione dei familiari delle vittime che ha trasformato il dolore privato in dolore pubblico. Ciò ha messo fine alla rassegnazione, imponendo giustamente che nessuna vittima innocente debba essere dimenticata, nonché spingendo le Istituzioni a intitolare strade, aule, biblioteche ai loro caduti. Hanno ispirato libri, mostre, film, opere teatrali, canzoni. Tutto questo al Sud è ancora più importante, perché si dimostra che, pur avendo avuto origine in queste terre il fenomeno mafioso, ci sono tante e tanti che lo hanno combattuto e che lo combattono. Non è un caso che quasi tutti gli eroi civili del secondo dopoguerra sono meridionali. Un enorme contributo del nostro Mezzogiorno ai valori fondanti e fondamentali dell’ intera comunità nazionale.