Livia Carandente fa ridere e piangere parlando di… Figli

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Livia Carandente, recensione “Ancora non hai figli?”

Dopo “Quanti figli hai?”, Livia Carandente ritorna sul tema della maternità con “Ancora non hai figli?” (Tau Editrice). L’ironia con la quale l’autrice affronta l’argomento è la stessa del primo libro ed è ben utilizzata per alleggerire un peso che per alcune coppie può diventare eccessivo a causa del condizionamento culturale. Livia va ringraziata perché con i suoi libri favorisce, parlandone con simpatia e leggerezza, la rottura di meccanismi che sono tutt’altro che simpatici e leggeri!

Se in “Quanti figli hai?” l’autrice permette al lettore di entrare nell’animo della protagonista rendendolo partecipe dei suoi pensieri più intimi, in “Ancora non hai figli?” lo aiuta ad una riflessione più profonda sul senso della genitorialità.

I condizionamenti culturali per i quali una coppia che non ha figli si debba sentire quasi menomata è ancora diffusa in troppi ambienti. Lontanissimi dalla repubblica ideale di Platone dove i bambini dovevano essere svezzati da mamme-nutrici nei nidi statali e non c’era spazio per l’istituzione famiglia, in troppi devono ancora capire che la maternità, come in piena par condicio anche la paternità, non sono solo un fatto biologico. Amare il prossimo, prendersi cura delle nuove generazioni, sperare nel loro benessere e sostenerle a tal fine, sono desideri innati in molte persone che, fortunatamente, riescono a realizzare anche se dal loro atto d’amore non deriva un concepimento.

Chi dice che il percorso per l’adozione sia sempre più difficile psicologicamente di quello di una gravidanza “difficile”? Chi può dire che certi percorsi difficoltosi non servano per scoprire nuove forme d’amore? La verità è che la scelta dell’approccio alle difficoltà della vita è soggettiva e per lo più spetta al singolo … non nel caso della genitorialità di coppia, lì può diventare un’occasione di maggiore fusione o di rottura definitiva.

Livia Carandente “Ancora non hai figli?”

D’altra parte non bisogna neanche essere necessariamente cattolici per comprendere quanto sottolinea la scrittrice nell’elencare che i figli:

1. non sono un diritto,

2. non sono qualcosa che “è capitato”,

3. non si possono respingere,

4. non sono garanzia di una vita matrimoniale serena e duratura, ecc.

“Il vero dono per gli sposi è il matrimonio stesso e da qui possono o possono anche non nascere quei doni chiamati figli. Il dono da scoprire e tutelare è anzitutto il matrimonio che non può dirsi fecondo solo se genera un’altra vita, ma è fecondo e creativo se immette amore generativo nel mondo in cui viviamo.”

Questa riflessione è lo stimolo per imparare a rispettare ciascuno la propria vita accettandola per quello che è, con dei limiti che a volte ci impone senza poterli

comprendere, e che proprio per questo nell’economia del nostro benessere psico-fisico conviene accettare e, così facendo, probabilmente si capirà che non sono poi del tutto insormontabili!