Lady in the city
Rubrica di Eliana Iuorio
Si chiamava Angelo.
Angelo Prisco.
Un nome ed un cognome che a tanti, potrà dire poco.
Al contrario, in chi lo ha amato e conosciuto, non può che suscitare commozione. Come indignazione e rabbia, nel pensare a quanto accadutogli.
28 anni, Angelo: maresciallo della Guardia di Finanza, che da San Giuseppe vesuviano – suo luogo natìo – raggiunge Chiavenna, perchè la vita del militare non si riesce sempre a svolgerla nel luogo d’origine.
“Un ragazzo mite”: così – nelle cronache del tempo – lo descrive il suo superiore, il colonnello De Piccoli, comandante delle Fiamme Gialle a Sondrio: “un tipo tranquillo che non ha mai creato problemi”.
Era tornato a casa per le feste, Angelo, nove giorni prima quel maledetto 19 dicembre 1995.
Un ragazzo amante della natura e della montagna, che viene trovato ucciso in un crepaccio della Valle dell’inferno, nel Parco Nazionale del Vesuvio, ai piedi del dormiente vulcano che domina i paesi che gli uomini gli hanno costruito intorno, nel corso del tempo.
Due colpi di fucile nella schiena. La sua automobile trovata con lo sportello aperto ed i fari accesi; la pistola d’ordinanza accanto al suo corpo, privo di vita.
Era in borghese, Angelo. Era salito fin lì per una passeggiata, sul Monte Somma.
Ma forse aveva visto qualcuno, muoversi lì dove non doveva. Bracconieri, o delinquenti intenti a “fare altro”.
Per anni, quella zona, è stata terreno fertile per occultare attività illecite o – peggio, se così può definirsi – cadaveri, vittime di “lupara bianca”, della mano assassina degli uomini dei clan vesuviani, da Cutolo a Fabbrocino.
Quanti, gli “scomparsi”, gente di cui si è perso le tracce, a San Giuseppe vesuviano, ad Ottaviano, a Terzigno?
Cosa ha visto, Angelo Prisco, quella maledetta mattina del 19 dicembre 1995, 17 anni fa?
Bracconieri, intenti a cacciare di frodo? Criminali, nell’atto di smaltire illecitamente rifiuti tossici, nel Parco? O camorristi, intenti ad occultare il cadavere dell’ultima vittima?
Sta di fatto, che la storia di questo ragazzo è finita nell’oblio delle storie di cui si piange al momento e poi si fa in modo di dimenticare.
Se sono qui a scriverne, è grazie a persone come Roberto Duraccio ed all’Associazione “Jamm” di San Giuseppe vesuviano, all’Associazione “Cittadinanzattiva”, che portano avanti con affetto, il ricordo di questo giovane; ed è grazie a Ciro Teodonno, che scrive di Angelo Prisco da tempo, affinchè sia fatta Memoria e Giustizia.
Noi andremo avanti, in quest’opera di ricerca e Memoria. Vorremmo che foste in tanti, con noi.
Chi ha visto, chi sa, ne parli anche in forma anonima all’Autorità Giudiziaria.
Oppure, lo faccia con noi.
Ma non lasciamo che questa vicenda resti impunita o – peggio – che si accetti comodamente la colpevolezza di chi – magari – colpevole non è.
Questa non sarebbe Giustizia.