Ucraina, Meritocrazia Italia: “Raccontare la guerra ai più giovani evitando che diventi spettacolo”

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Meritocrazia Italia in una nota: “Occorre anzitutto lasciare il giusto spazio alle emozioni, che possono essere anche molto forti quando si tocca un tema come la guerra”.

“In questi giorni Tv, giornali e social sono quasi unicamente focalizzati sulla guerra in Ucraina: dirette, fotografie, servizi speciali mostrano ogni aspetto di una tragedia inattesa, vicina anche nello spazio. Cresce l’angoscia, la paura per le possibili conseguenze di un’estensione della guerra ai Paesi della Nato. Come raccontare la guerra ai più giovani?”. E’ quanto chiede Meritocrazia Italia in una nota. “Occorre anzitutto lasciare il giusto spazio alle emozioni, che possono essere anche molto forti quando si tocca un tema come la guerra. Inoltre l’Italia conta una numerosa comunità Ucraina e Moldava ed è possibile che i bambini entrino in contatto con persone direttamente toccate dalle vicende belliche. Non serve tanto spiegare ‘cosa’ sia una guerra o ‘perché’ sia iniziata, quanto rendere comprensibile e accettabile tutto quello che ne consegue: uomini e donne costretti ad andare al fronte per combattere, famiglie che abbandonano le proprie case, le proprie abitudini, la propria vita, città devastate e distrutte”.

“In letteratura si suggerisce di iniziare dalle domande che i bambini vogliono fare, dai loro dubbi e, soprattutto, dalle loro paure: partendo da queste basi sarà possibile orientare il dialogo verso ciò che per loro è davvero importante conoscere. Indubbiamente, sarà necessario tenere presente l’età – si legge – I bambini piccoli (da 0 a 6 anni), in età prescolare, vedono tutto e ascoltano tutto. Non ha alcun senso dilungarsi in spiegazioni tecniche o dettagliate. Se fanno domande o mostrano curiosità, va data una spiegazione adeguata alla loro età, senza inutili particolari, magari aiutandosi con una favola, un racconto, un libro adatto alla loro età. Immagini drammatiche (morti, bombardamenti, esplosioni) andrebbero assolutamente evitate, rappresentando fonte di angoscia e di difficile elaborazione.

Nella fascia d’età che va dai 7 agli 8 anni, si possono dare spiegazioni un po’ più articolate, evitando bugie o censure assolute, ma evitando anche di ‘adultizzare’ i bambini troppo presto: la regola anche in questo caso è di tenere conto della particolare capacità di comprensione del bambino, considerando cosa può elaborare e cosa ha senso spiegare. A questa età si può, per esempio, dare qualche elemento in più che rimandi alle motivazioni alla base della guerra. Se le domande arrivano da loro, bisogna farsi trovare preparati. Tra gli 8 e i 10 anni, si può iniziare a spiegare che esistono le ingiustizie, che esiste la sofferenza ingiustificata, che la guerra ha delle motivazioni che troppo spesso appaiono lontane dalla vita delle persone comuni. Potrebbe essere l’occasione per trasmettere anche i valori di giustizia, pace e solidarietà. Si racconti la guerra, ma si racconti anche la speranza”.

“Fondamentale è anche che la guerra non diventi ‘spettacolo’, e che non venga confusa con un videogioco. Per preadolescenti e adolescenti il discorso cambia, perché cambia la capacità di comprendere e percepire le notizie. In sintesi, tra i consigli più utili: – limitare e gestire l’accesso alle fonti: bambini e ragazzi sono curiosi e può succedere che cerchino, o ricevano accidentalmente, informazioni sul tema, in particolare dai media o dai social. Il primo passo è capire che cosa abbiano già compreso dell’argomento, che idea si siano fatti, per poi procedere analizzando insieme la situazione e le notizie più recenti, con una discussione appropriata alla loro età, pur senza minimizzare; – evitare allarmismi o affermazioni forti: bambini e ragazzi hanno il loro modo di affrontare ansia e paure e, anche se ci sembrano disinteressati, spesso non lo sono; – non forzare l’interesse dei bambini se ci appaiono non interessati; – restare calmi e trasmettere serenità”.

E poi, “in base all’età, raccontare il perché della guerra, spiegando che la violenza non è mai una buona strada per risolvere i conflitti, ma anche che, a volte, purtroppo, non ci sono alternative, come, ad esempio quando è necessario difendere una popolazione dalla violenza posta in essere da un altro Paese; – evitare pericolosi stereotipi, in particolar modo se diretti contro popolazioni o etnie particolari; evitare di seminare odio e pregiudizi razziali contro un Paese o un Popolo, insegnando che si possono combattere le idee, ma mai le persone e che non tutti i cittadini di un certo Paese la pensano allo stesso modo; – alimentare il senso di pietà e la compassione, sollecitando l’empatia verso le vittime civili e militari del conflitto, e guidando i più grandi verso attività di volontariato e di sostegno alla comunità; – valutare l’opportunità di chiedere il sostegno di uno psicologo”.