Salvatore D’Onofrio lavora per il grande schermo, serie televisive e produzioni teatrali. Tra le sue interpretazioni, lo si ricorda nei panni di Bruno ne “L’immortale”, film spin-off della popolare serie “Gomorra”, e della guardia carceraria Caputo nella recente serie Sky “Il Re”.
La serie televisiva di Sky Il Re è uno dei primi prison drama italiano di successo e racconta una terribile realtà, dove il limite tra il bene e il male è costantemente annebbiato. Com’è stato approcciarsi a questo progetto?
Il progetto mi è sembrato subito molto interessante sia per l’ambientazione che per i temi trattati. Quando ai casting ho conosciuto il regista Giuseppe Gagliardi, sono rimasto molto colpito dal suo modo di lavorare con gli attori. Avevo già visto altri suoi lavori e ho sperato davvero tanto di averlo colpito nella mia proposta del personaggio. Tra quel provino e l’inizio delle riprese c’è stata di mezzo la pandemia. Per quasi un’anno e mezzo sono rimasto in attesa di conoscere l’esito. Quando la mia agente me lo ha comunicato ho cominciato a saltellare per la stanza. Il mio cane mi ha guardato molto stupito…
Il suo personaggio, Caputo, è una guardia carceraria, tra le più cattive del carcere di San Michele. Come ha fatto ad immedesimarsi nel ruolo?
Non è la prima volta che interpretavo un personaggio negativo. Un po’ avevo sperato che,facendo la guardia, potessi essere un buono, ma non è stato così… Di solito non giudico mai il mio personaggio, cerco sempre, prima di tutto, di capire le ragioni del suo comportamento, per far venire fuori la sua umanità. Sono convinto che l’animo umano è molto complesso e che non si è mai totalmente buoni o totalmente cattivi.
Questo non è il primo lavoro che l’ha portata a girare delle scene in un carcere vero, cosa ha significato per lei, a livello umano, dover passare tante ore in questi luoghi?
Il disagio quando si entra in un carcere è sempre molto forte. Le location scelte per rappresentare gli interni del San Michele sono carceri che hanno funzionato fino a pochi anni fa. Il pensiero che degli essere umani avessero abitato quei luoghi angusti, bui ed umidi metteva un senso di inquietudine. E non mi riferisco solo ai detenuti, ma anche alle guardie, costrette anche loro a passare gran parte della loro vita in posti così sinistri.
Lei è un attore del grande schermo, della televisione e del teatro. Nel paesaggio artistico italiano di oggi, da attore qualè la differenza tra l’ambito cinematografico e quello teatrale?
L’approccio attoriale è sicuramente molto diverso. A teatro hai quasi sempre un tempo più lungo per provare una scena, e la ripetitività delle repliche porta ad una crescita graduale del personaggio che interpreti. A cinema è tutto più immediato e devi subito farti trovare pronto.
Cosa l’ha fatta avvicinare alla recitazione e cosa l’affascina tutt’oggi della sua professione?
Sicuramente devo il mio avvicinamento al teatro ad una mia insegnante che volle mettere in scena una commedia di Eduardo come attività parascolastica. Mi piacque tantissimo che poi non ho più smesso. Trovo molto intrigante ogni volta, adattare i miei tratti somatici, la mia voce, i miei gesti ad un’entità che esiste solo scritta sulla carta e che diviene vera e viva grazie a me su un palcoscenico o dentro un film.
Può darci un’anteprima sui suoi futuri progetti?
Nell’immediato posso segnalarvi la mia partecipazione alla nuova commedia di Eduardo Tartaglia ALTRO GIRO ALTRA CORSA che verrà presentata in anteprima al prossimo Campania teatro festival il 27 e 28 giugno nei giardini della reggia di Capodimonte.
Grazie per l’intervista.