“Rompere in caso di emergenza”: l’esordio editoriale di Nello Cassese

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“Rompere in caso di emergenza”: l’esordio editoriale di Nello Cassese

Ci sono libri che ti restano nel cuore, per un motivo o per un altro. In quest’ultima settimana sono rimasto letteralmente folgorato da uno in particolare “Rompere in caso di emergenza”, di un autore nuovo nel settore, ma molto conosciuto in ambito giornalistico, Nello Cassese, edito da Amazon Publishing. Mi sono rivisto in ogni pagina, in tante emozioni provate dall’autore, dalla passione per il giornalismo d’inchiesta, alle emozioni di sconforto per una storia d’amore terminata. Già. l’amore. Tutto inizia con questo sentimento che regge il mondo, un sentimento che, quando si spezza, può fare tanto male. Un diario vero e proprio di un ragazzo come tanti, un giovane uomo in carriera, che non si demoralizza, lascia alla tristezza un piccolo spazio nel suo cuore, non eccessivo. Il malessere che prova lo spinge ad una considerazione, che poi sarà l’idea per il titolo del libro: sarebbe bello se si potesse avere sempre un cuore a disposizione in una teca come quelle che si vedono negli uffici o negli ospedali con la scritta “rompere in caso di emergenza”, e prenderlo in sostituzione del proprio, ormai distrutto. Ma bisogna andare avanti, sempre, la sofferenza iniziale lascia sempre spazio dopo poco alla presa di coscienza, e da qui inizia il “viaggio” di 9 giorni dell’autore che si racconta. Ogni giorno diventa un capitolo ricco di storie, sentimenti e pensieri tutti da scoprire. Un libro che ha uno scopo d’amore vero e proprio, amore per il prossimo, amore solidale: parte del ricavato delle vendite, infatti, andrà in beneficenza all’AIDO (Associazione Italiana Donatori di Organi).

Per un appassionato di giornalismo vero, quello d’inchiesta, come me, diventa difficile non emozionarsi leggendo vicende legate ai ricordi dell’autore, collegate al mondo dell’informazione: un episodio su tutti mi ha colpito, quello legato alla caserma del cosiddetto 48 di Nola ( Na ), ex caserma militare dove si consumò il primo eccidio nazista contro i militari italiani, diventata poi una scuola prima di essere del tutto abbandonata, sotto gli occhi di tutti ( a pochi passi da lì ci sono abitazioni, negozi ). Questo è Nello, un giovanissimo giornalista, classe ‘94, ma un ragazzo con idee ben chiare: appassionato di giornalismo fin dalla prima giovinezza, dal 2016 è iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Campania nella sezione Pubblicisti e da gennaio 2018 è stato direttore del quotidiano digitale Zerottouno News. per diventarne poi editore proprietario dal novembre del 2022.

Ecco l’intervista che Nello mi ha concesso per la mia rubrica “Leggiamo con Imagine“ su RoadTv Italia:

Rompere in caso di emergenza”, un titolo davvero intrigante: quando nasce in te l’idea di scrivere questo libro?

L’idea di scrivere un libro nasce in me già da tempo. Volevo scriverlo per i miei primi dieci anni di carriera giornalistica, avevo anche buttato giù un po’ di righe ma nulla che mi convincesse. Poi, d’un tratto, mi è venuta la proverbiale ispirazione e ho buttato giù in neanche venti giorni quello che poi sarebbe diventato il mio primo libro. Ho deciso il titolo dopo la stesura del primo capitolo. Scrivevo di getto, sia nell’app delle note del telefonino che in un foglio Word del mio PC. Mentre scrivevo mi è venuta questa metafora: visto che tutte le emozioni, razionali e non, sono governate dal cuore, allora sarebbe bello correre alla parete, dove c’è la teca dell’estintore con la scritta ROMPERE IN CASO DI EMERGENZA, e prendere un cuore nuovo per sostituirlo a quello che invece fa fatica perché siamo in preda ad una crisi di sentimenti. Si può andare in crisi per tanti motivi, non solo per amore, e a qualsiasi età.

Il racconto parte da un amore, un amore finito, una storia finita … ma che cos’è per te l’amore?

Come accennavo prima, il mio libro parla di crisi, non di amore. Anche di amore ma non del tutto, anzi in piccola parte se si legge con attenzione. Sto “combattendo” infatti per fare capire che non è un libro d’amore, anche se la copertina potrebbe portare fuori pista. Essendo un libro sulle fragilità e sulle crisi, è ovvio che si parli anche di amore. È quello che ci guida in tutto: l’amore per una persona, per il lavoro, per gli amici, per la famiglia. Io, paradossalmente, so ben poco di amore e anche di questa mia storia saprei analizzare ben poco con lucidità e certezza. So, però, che amare significa impegnarsi ed essere sinceri. Amare significa spendersi per l’altro senza pesi, muoversi insieme in un percorso, anche se non si va alla stessa velocità. Amare ti smuove la pancia, spesso di gioia ma a volte anche di dolore. Io, però, non posso insegnare cos’è l’amore. Ho raccontato una storia, una piccola parte della mia storia, cercando di essere quanto più genuino possibile.

“I nostri genitori avevano la forza di crearsi una famiglia già a 25 anni, noi a questa età non abbiamo neanche i soldi per una macchina e abbiamo molte meno certezze.” Questa frase tratta dal primo capitolo mi ha molto colpito: perché la società moderna è così instabile? Quali conseguenze potrebbero esserci a breve termine?

Credo che ci sia così tanta instabilità perché oggi la società richiede la perfezione e non ha più la capacità, o la volontà, di aspettare chi ha difficoltà ad essere perfetto e resta indietro. Chi può cambiare le cose e governa i sistemi economici e sociali non ha reale interesse ad aspettare tutti e spesso preferisce importare servizi e merci già pronte invece che creare professionalità e posti di lavoro. Questo ha ricadute non solo economiche, ma anche sociali, perché i ragazzi, ma anche gli under 50 e 40, non trovano il loro posto nel mondo e si sentono spaesati, senza meta, senza ruolo. La società così non va avanti. Se non si cambia rotta, sarà inevitabile aspettarsi disagi sociali e un appiattimento di qualsiasi spinta produttiva e di crescita.

Accenni spesso alla parola “felicità”: ecco, per te cos’è la felicità?

La felicità è stare bene. Eppure, dovremmo comprendere quanto sia fondamentale non ricercare esclusivamente la felicità, bensì la serenità. Si può infatti essere felici un giorno, un’ora, un mese, un anno. Si può essere felici per una ragazza, un successo lavorativo, un gol o una macchina. La serenità invece è costante, è lunga, sta lì e ti fa stare realmente bene e ti guida anche nei momenti in cui sei triste. Ecco, per me tutti dovremmo puntare alla serenità più che alla felicità.

Hai fatto cenno all’Ilva di Taranto, industria siderurgica che, come l’Italsider di Napoli, è stata croce e delizia, ha offerto lavoro a tanti ma anche malattie …. cosa ne pensi come giornalista d’inchiesta?

Il reportage che ho girato sull’Ilva di Taranto è uno di quelli a cui sono più legato. Ho vissuto 4 giorni a Taranto mentre giravo le scene, non il massimo ma era quello che potevo permettermi e, alla fine, credo siano stati anche giusti per il lavoro che volevo svolgere e per quello che dovevamo raccontare. Ci sarebbe tanto da dire sull’Ilva, sull’Italsider e su industrie del genere che inquinano la stessa società che poi dovrebbero fare evolvere. Quando si parla di chiusura c’è sempre il pericolo di rompere poi quell’equilibrio economico che garantisce la stabilità per tantissimi lavoratori. Eppure una soluzione deve essere trovata: non si può morire di inquinamento per evitare di morire di fame. C’è sicuramente gente più qualificata di me per parlare di queste storie ma uno spunto vorrei lasciarlo. Lo ha proposto il professore Alessandro Marescotti che con PeaceLink lotta da anni contro l’Ilva. Riconversione green: evitiamo la chiusura, cambiamo registro sociale e tecnologico, evitiamo perdite di posti di lavoro e puntiamo allo sviluppo.

Con questo tuo libro hai condiviso con tutti i tuoi stati d’animo, le tue insicurezze, e la voglia di ricominciare: quanto è importante per te parlare piuttosto che tenere tutto dentro?

É stato importante perché è stato uno sfogo ma soprattutto mi ha dato la possibilità di creare un’opportunità positiva da una situazione negativa. Non avrei sentito di aver fatto un lavoro corretto se non fossi stato realmente sincero e genuino. Ho voluto dare un tratto personalistico ma anche aperto. Parlo di me ma sono sicuro che i miei turbamenti e le mie esperienze possono essere quelli di tanti altri che, magari, non hanno mai trovato modo di parlarne. È la mia storia, ma può essere quella di tutti. C’è molta gente che soffre per amore, per una famiglia disunita con i genitori divorziati, per un parente che sta male e combatte con una brutta malattia. Insomma, nel mio piccolo, ho cercato di normalizzare tutte queste sfaccettature delle nostre vite.

Cosa diresti ad un lettore per invogliarlo ad acquistare il tuo libro?

Ho sempre avuto la convinzione di non essere bravo a vendermi però posso dire una cosa: il mio libro è un calderone in cui si trovano tante cose. Sicuramente può incuriosire e, credo, anche emozionare. È un libro snello, veloce, va via subito. Non l’ho scritto con la velleità di vincere il Premio Strega e non mi interessa fare marketing con i sentimenti, ma leggerlo potrebbe essere per tanti una bella e sorprendente scommessa.

“La vita è come uno specchio: ti sorride se la guardi sorridendo”. Jim Morrison ha indovinato una ricetta per affrontare gli ostacoli della vita?

In un certo senso si. Nel senso che non serve solo sorridere per cambiare le cose ma approcciarsi ai problemi con un atteggiamento attivo è già un punto di inizio. Per i più credenti c’è anche un’altra frase che è molto suggestiva: aiutati che Dio t’aiuta. Sembra banale ma il suo significato è molto profondo. Chiediamo sempre aiuto agli altri per risolvere i problemi, soprattutto a Dio ma anche lui non può fare nulla se non ci predisponiamo e ci impegniamo per cambiare lo stato delle cose. Non c’è una ricetta per risolvere i problemi della vita, anzi a volte, probabilmente, è anche giusto fermarsi, abbattersi, rattristarsi, per poi ripartire con maggior convinzione. È tutto normale, non bisogna vergognarsi. Non c’è una ricetta per questo però io un consiglio ce l’ho: circondatevi delle persone che vi vogliono bene e vi sostengono senza secondi fini, nella famiglia quanto nelle amicizie. Possiamo farcela anche da soli ma perché non lasciare che qualcuno ci possa aiutare e accompagnare?

29 anni e già giornalista affermato,addetto stampa, direttore di una testata giornalistica … quali sono i tuoi prossimi obiettivi?

Non saprei dire se sono realmente affermato. Il mio è un lavoro particolare, non si comprende davvero quando si arriva al successo. I social hanno offerto una marea di opportunità ma hanno anche fatto sì che molti urlatori prendessero la scena senza praticamente dire nulla di interessante. Noi giornalisti non sappiamo quale sia il nostro posto e spesso c’è il rischio di perdersi ed uscire fuori dai binari della deontologia. Prima i giornalisti parlavano ai lettori, ora sono i lettori che provano a dire ai giornalisti cosa scrivere. Io cerco di fare questo lavoro sempre con rispetto e sincerità. Sono contento di quel che faccio. Giro reportage, ho un giornale tutto mio, vado in tv e in radio, sono addetto stampa di una società di calcio, ora ho scritto anche un libro. Non ho tanti altri obiettivi ulteriori se non, ovviamente, aumentare il livello di notorietà. Credo che sia obiettivo di tutti puntare sempre al massimo livello nel proprio lavoro. Non resta per me, in ogni caso, fonte di frustrazione questa proiezione. Mi piacerebbe riuscire a raccontare più storie fuori dai confini regionali e nazionali, ma c’è ancora tempo e mi auguro che ci saranno ancora occasioni.

Un libro, quello di cui parlo, da poter leggere, sempre. Una guida per non lasciarci prendere dallo sconforto nei momenti bui della nostra vita, dopo ogni tempesta nascerà sempre il sole. Ringrazio Nello per la sua disponibilità augurandogli ogni bene e successo in campo giornalistico ed editoriale. Ad Maiora, Nello.

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