I migranti discriminati che aiutano chi ha bisogno

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I migranti discriminati che aiutano chi ha bisogno

Secondo i dati ISTAT in Italia i migranti, pur rappresentando solo l’8,7 % delle famiglie residenti,presentano un’incidenza di povertà assoluta superiore di 5 volte rispetto agli italiani (34% vs 7,4%).

La loro povertà è la risultante di una complessa interazione di disparità, effetto anche di diverse forma di discriminazione.

Anzitutto una discriminazione istituzionale che rifiuta sistematicamente risorse e opportunità alle minoranze di origine immigrata e che a volte si evidenzia nel divario tra legge scritta, interpretazione e applicazione della legge. E’ il caso del reddito di cittadinanza, provvedimento particolarmente rilevante per molti residenti immigrati o di origine immigrata, dove le due invalicabili barriere del titolo di soggiorno a tempo indeterminato e della residenza pregressa (almeno quinquennale) di fatto impediscono, contro il testo e l’interpretazione del provvedimento, di ricevere alcun sussidio contro la povertà.

Ci sono discriminazioni crescenti circa i bisogni primari di salute, di lavoro, e abitativi.

Dal punto di vista sanitario la Società Italiana di Pediatria sottolinea ad esempio le diseguaglianze di salute dei bambini stranieri a causa dell’intreccio di problematiche socioeconomiche, linguistiche e burocratico-amministrative, con conseguenti maggiori rischi sanitari e sociali (la mortalità infantile nei nati da madri straniere è del 3,7 per mille contro il 2,3 da madri italiane)

Il progetto LAW (Leverage the access to welfare), finanziato dall’Unione Europea rileva che circa un terzo degli immigrati dichiara diaver subito discriminazione proprio sul lavoro.Come testimoniato eloquentemente dalla condizione di  svantaggiodei cittadini stranieri diessere occupati (per circa il 62%)  in lavori manuali e non qualificati,con conseguenti inferiori  retribuzione e capacità di risparmio (scesa dal 38% del reddito nel 2017 al 27% nel 2022).

L’effetto-lavoro ricade a cascata anche sulle problematiche abitative degli immigrati.

Nelle grandi metropoli italiane – soprattutto nei centri storici e nelle periferie urbane -il 40% degli immigrati soffre l’ “housing discrimination”, ovvero situazioni pesanti di precarietà  e disagio abitativo, con sovraffollamento e difficoltà di raggiungimento e mantenimento del proprio alloggio, a causadelle scarse disponibilità economiche edel rialzo dei canoni d’affitto.

In questo complesso drammatico scenario, brillano due aspetti abbastanza misconosciuti della realtà dei migranti in Italia.

Il primo riguarda il capitolo delle rimesse economiche degli emigranti verso famiglie e comunità locali, molto più consistenti degli aiuti istituzioni internazionali: secondo la Banca mondiale, un flusso previsto per il 2024 di 858 miliardi di euro (Dossier Immigrazione 2023);dall’Italia  nel 2022 un ammontare di 8,2 miliardi di euro, 473 milioni in più rispetto al 2021.

C’è una complessa e variegata geografia degli rimesseindividuali che possono avere differente significato (dalla restituzione, all’ obbligo morale, all’ investimento), ma che hanno sicuramente -oltre a ricadute positive sulle condizioni di vita e sulle relazioni della famiglia ricevente -anche un valore sociale (nuove visioni condivise del mondo, della politica, della società e dei valori)

Sempre più frequentemente assistiamo anche a rimesse collettive, espressione di solidarietà verso le comunità dei Paesi d’origine. Si tratta di raccolta di materiali o denaro da inviare in patria specie in caso di calamità naturali o di guerre: pratiche realizzate con sapiente gestione, grande partecipazione e ammirabile generosità.

Il secondo concerneil nuovo fenomeno di persone di origine immigrata che diventano protagoniste attive della solidarietà e dell’aiuto verso gli altri, ben oltre i confini delle reti etniche, italiani compresi.

Già a partire dal Covid associazioni immigrate hanno aperto le loro sedi alle istituzioni italiane, si sono mobilitate per realizzare raccolte in denaro, di materiale sanitario destinate a ospedali, comuni, protezione civile italiana: insomma per offrire un aiuto al paese che li accoglie.

Ma anche oggi vediamoun gran numero divolontari di origine immigrata che insieme a omologhi italiani, particolarmente in aree urbane periferiche povere, raccolgono cibo e medicinali, portano spese a famiglie in difficoltà, offrono compagnia e amiciziaad anziani soli.  E qualcuno segue percorsi universitari di studio per laurearsi in professioni d’aiuto alla persona, come Mediatori Culturali e Care-Givers

Insomma, una ventata di aria nuova che travolge lo stigma e il becero luogo comune del migrante come sfruttatore opportunista delle risorse del paese che lo ospita.

I “nuovi europei”-e davvero lo sono!- in realtà rappresentano donne ed uomini che, avendo ricevuto aiuto al loro arrivo in Italia in condizioni di grave necessità, hanno maturato un sentimento di riconoscenza che li motiva a ricambiare, a restituire ciò che si è ricevuto, nell’aiutare a propria volta altre persone bisognose.

Una grande risorsa umana e civile che costruisce quella nuova coesione sociale di cui il nostro Paese e l’Europa hanno tanto bisogno.