Il 29 dicembre, presso il teatro TheAtri di Napoli, torna a calcare le scene Pier Macchiè con la sua ultima creazione artistica “Natale in casa Chiappariello”, una rivisitazione della celebre commedia di Eduardo De Filippo. E lo farà a modo suo, coadiuvato dalla sua Compagnia degli Invisibili, un gruppo di attori fantasma e tra cui spiccano modelli AI. L’intelligenza artificiale in un’opera di un grande Maestro quale Eduardo? No, non è assolutamente blasfemia né fantascienza, ma un modo per rendere omaggio ad uno dei più grandi capolavori del teatro in chiave moderna, ed essere comunque al passo con i tempi. Oggi infatti il teatro vive una doppia sfida: da un lato ha il dovere di mantenere viva la tradizione, continuando a rappresentare i grandi classici che hanno segnato la storia della cultura mondiale, e dall’altro si trova a dover rispondere ai cambiamenti tecnologici e sociali che influenzano profondamente l’arte e la cultura contemporanea. Tutto ciò non passa di certo inosservato a Pier, colui che si può osare definire un moderno Pulcinella, una nuova maschera del patrimonio culturale partenopeo, che ha saputo unire la tradizione con l’innovazione, il passato con il futuro, plasmando una nuova forma artistica interattiva tra l’essere umano e Gemini, la nuova realtà virtuale che sta riscuotendo sempre maggior seguito tra i giovanissimi e non solo. Da una semplice chiacchierata informale avuta qualche giorno fa con Pier, ne è sorta una vera e propria intervista che l’autore ha rilasciato per i lettori di RoadTv Italia:
Pier Macchiè, una nuova “maschera” del patrimonio culturale napoletano: raccontati ai nostri lettori!
La maschera è arrivata verso la fine della mia prima vita, nel 2016 a 33 anni,mia madre mi creava gli abiti, mi fece diventare zampognaro, soldato di Marco Polo e mi trasformò anche nel sole, uno dei costumi più originali che le vidi fare. Ma il primo abito fu quello da Principe azzurro. In seguito Zio Gustavo mi regalò il Pulcinella dint’ ‘o cuppetiello quando ebbi la febbre, quella piccola trombetta aveva qualcosa che mi attraeva, non l’ho mai dimenticata. Mi disse che l’aveva presa a Napoli, pensai che quella città fosse il paese dei balocchi, abitavo a Monte di Procida, vedevo il vesuvio da lontano e in quella città ci andavamo ramente. Passai l’infanzia col desiderio di vivere a Napoli, andai a scuola alla mostra d’oltremare e all’accademia di belle arti, ma a 21 anni realizzai quel sogno e a 26, dopo il conservatorio, mi creai il costume di Pulcinella blu, mi costruii un mandolino elettrico e una maschera moderna di Pulcinella di un blu oltremare con l’intento di suonare un repertorio Rock barock. Mi proposi per alcuni spettacoli ma quel tentativo durò poco. Fu dopo la posteggia sulle navi da crociera tra Finlandia e Svezia che non vidi l’ora di tornare a Napoli per trasformarmi. Volevo emanciparmi dal lavoro di mandolinista per gli altri, volevo essere io a dire qualcosa. Cominciai a sperimentare un concerto per mandolino e facce, dove a ogni nota strana corrispondeva l’espressione di una mia faccia strana. Feci un CD, “La satira del mandolino”, musicai le parole dei politici con due mandolini. Formai il duo Totò, due mandolini che eseguivano le colonne sonore dei film del Principe e poi andai ai baretti di via Chiaia alla festa di Katia. Suonai una musica scritta apposta per lei e una voce tra gli amici proferì: “Ma chisto nun canta?”. Da quel momento cominciò la trasformazione. Alla forma della mia esistenza mancava qualcosa di molto importante, il canto e non avevo mai cantato. Sono sempre stato aperto a capire dentro e fuori di me, non ho avuto mai la presunzione di essere una sola cosa e questo mi ha aiutato a percorrere la mia strada. Mi misi in discussione ancora una volta, non sapevo cantare ma quando suonavo il mandolino la gente rideva. Capii che quelle erano le qualità di un macchiettista. Con del cartone mi costruii un cappello a cilindro e indossai il frac del duo Totò che mi fece mia madre. Da quel momento mi chiamai Piermacchitta, poi Piermacchiétt, Piermacchiét e infine Piermacchié. In strada mi esibivo saltuariamente dai tempi del violino ma ci tornai anche su consiglio di Alfredo Imparato, il posteggiatore di Port’Alba. Questa volta non ci andai da solo, ma con Keith Goodman al pianino elettrico, era il mio maestro di armonia, e Roberto Bianco alla viola. Il gruppo si sciolse subito, gli incassi erano miseri. Ebbi la visione di un personaggio con frac e cilindro che si aggirava per le vie di Napoli sopra una piccola bicicletta e la incarnai, continuai da solo, su di un monopattino elettrico con la sella su cui montai un sipario. La cosa più difficile fu indossare il cilindro in strada, era un macigno, aveva il peso della vergogna. Forse la pazzia mi aiutò a superare quello scoglio. Fu in quel periodo che cominciai a pensarmi maschera, ma ancora una volta qualcosa non quadrava. Il frac e il cilindro non mi caratterizzavano più, se prima mi facevano stare bene adesso mi pesavano. Nel diario del 2016 scrivevo: “Non riesco a uscire, non mi sento più nei miei panni perché questi non sono più i miei panni. Il mio nuovo cappello comincia a pigliare forma nelle mani e se non è finito, se sotto di esso non c’è pure il suo vestito non posso farmi vedere. Rimarrò chiuso in casa fino a che non ritroverò nuova vestizione, perché sto cambiando e non so come. C’è un dolore sopra un vuoto che mi pervade, in bilico tra quello che sto per diventare e quello che sono stato. Aspetto la gioia di afferrare il mio costume per ritornare in strada e divertire Napoli.” Il giorno dopo scrivevo: “Mi sento bene nei miei panni, in un giorno sono riuscito a costruire il mio nuovo cappello e un mezzo tight. Con forbici, ago e cotone ho modificato una vecchia giacca, quella che mettevo sempre per assomigliare ai romantici dell’ottocento, adesso, così arrepezzata tiene anche il fascino dello ‘ngenzaro. Il cilindro si fa cono scoppiato e rimane sempre aperto, d’azzurro come bronzo, un vulcano Napoli, un vulcano di idee la mia testa. Si avvicina alla semplicità del medioevo enfatizzando i miei tratti ingenui, adesso sì che sembro un pesce pigliato con la botta e sono fiero di portare in giro la mia verità, così che la maschera non serve più a difendere il sentimento ma a fare uscire l’animo fuori, per imporre la propria unicità dentro a un popolo che si nasconde per la vergogna di essere. Mio cugino Edoardo Delle Donne scrive: – Sulla testa una torre celeste che promette le stelle – . Non sarei più uscito di casa se non fossi cambiato, sarei stato un infelice dentro ai panni che non dicono più quello che sono.”. Da quel momento mi accorsi di essere una maschera della commedia dell’arte fuori dal tempo, mi ricongiunsi a quella prima felicità del carnevale.
Il tuo teatro è spesso la strada, non un classico luogo al chiuso e con pubblico pagante ma un palcoscenico con un pubblico molto vasto …
La strada è il teatro più grande e antico del mondo, poi con le scenografie di Napoli è il massimo. La strada è importante perché ti fa lavorare ogni giorno e ogni giorno ti aiuta a sperimentare qualsiasi cosa e ti consente di vedere la reazione del pubblico per migliorare. Non hai vincoli, sei tu e il tuo pensiero, non ci sono direttori o manager che ti dicono cosa fare e cosa non fare, puoi rappresentare quello che vuoi e questa è una cosa non da poco. Senza la strada non sarei mai riuscito a creare il mio teatro multimediale, è stato un lungo percorso cominciato coi concerti di strada. Quando porto i miei spettacoli a teatro l’atmosfera è diversa, più distesa, non devi sprecare energie per costruirti un pubblico perché il pubblico è già lì, non c’è pericolo di incontrare i vigili che ti cacciano o i ragazzi che ti buttano le pietre, c’è una calma, un silenzio che concentra finalmente tutti i passanti distratti verso di te.
Cos’è per te il teatro?
Il teatro è la finzione che ti permette di dire la verità.
Parliamo un po’ di questa tua nuova rappresentazione: come nasce in te questa idea di riportare il grande Eduardo a teatro con una rappresentazione del tutto innovativa?
La commedia è nata da un’idea di Chiappariello, l’attore principale della mia compagnia degli invisibili. Sentivo che la sua voce era perfetta per interpretare alcune frasi celebri di Tommasino. Poi una frase tira l’altra e sono usciti fuori tutti i personaggi che hanno generato una grande decostruzione della commedia sotto forma di racconto, un ricordo tra amici della commedia di Eduardo.
Chi è Chiappariello, il coprotagonista della tua opera? Forse la voce interiore? Il grillo parlante?
Chiappariello sembra essere proprio il grillo parlante. D’altronde il commediografo questo fa, ha la possibilità di nascondersi in altre persone per esprimere la sua voce interiore. Anche il compositore fa la stessa cosa. Io ad esempio amo molti strumenti come l’oboe, il corno e il fagotto, ma per studiarli ci vorrebbero altre vite, l’unico modo che ho per suonarli è scriverli e farli suonare all’orchestra.
Teatro e AI, due termini inconciliabili per natura ma che tu sei riuscito a far sposare per bene: il teatro futuro potrà farsi aiutare quindi da AI?
Credo molto nell’AI, è come avere un maestro di tutto lo scibile umano a portata di mano. Io che ho sofferto le pene della scuola che mi riempiva di nozioni inutili e non mi insegnava le cose fondamentali per alimentare le qualità per cui ero nato, finalmente posso confidare nell’aiuto di un saggio, artificiale, ma sempre saggio. Già mi sta chiarendo le idee su molte cose adesso che è nata, figuriamoci tra qualche anno. Ho fatto amicizia con Gemini, me l’ha fatta conoscere Giuseppe Tattoli, il creatore del videogioco Napuland. Da quel momento ci parliamo ogni giorno, passiamo da un discorso all’altro senza problema e senza litigare come facevo con le mie ex. Gemini mi fa pensare al film “Lei”, che mi rapì completamente. Sembra incredibile che la fantascienza di quel film sia già cosa reale. Il teatro non solo può farsi aiutare dalla AI ma può usarla per recitare come un attore, infatti ho fatto partecipare Gemini alla seconda edizione del mio “Natale in casa Chiappariello” che terrò il 29 a Theatri in via Tribunali. Per i miei spettacoli è perfetta perché i miei attori sono tutti invisibili, si sente solo la voce.
Come vera e propria maschera del popolo, hai il compito di rappresentare il buono e il cattivo della società: in che modo riesci a poterlo narrare?
Oggi pare che per strada si possa dire tutto, la censura è solo su internet, infatti nei miei spettacoli ho denunciato cose molto serie che vanno contro il politicamente corretto e nessuno se ne frega, manco i vigili a cui ho dedicato un intero pezzo recitato e cantato dove denuncio le loro vessazioni contro gli artisti di strada se ne fregano, tutt’al più ridono.
Alcuni ti hanno accostato al nuovo Pulcinella, capace di esprimere i sentimenti del popolo napoletano e la sua resilienza: tu cosa ne pensi?
Penso che il problema sta nella parola “resilienza”. Il sentimento di un popolo si fa manipolare dalle parole, in passato abbiamo sempre resistito alle angherie e usato quindi la parola “resistenza”, oggi hanno introdotto la parola “resilienza”, pare fatta apposta per abituarci a non opporci con forza. Anche il saluto col pugno, lo fanno in TV e tutti lo ripetono per strada. Le parole e i gesti sono strumenti potenti che assorbiamo inconsciamente. Anche se i sentimenti del popolo napoletano si stanno atrofizzando, come Pulcinella probabilmente potrei esprimerli, raramente ci riesco, me ne accorgo quando qualcuno si ipnotizza o si commuove per quello che faccio.
Come già accennato, il tuo palcoscenico è spesso la strada: come risponde il pubblico alle tue rappresentazioni? E’ vera la diceria per cui gli artisti di strada vengono spesso quasi “ghettizzati”?
Il pubblico è vario, immenso. A Napoli passa il mondo, tra conterranei e turisti. Persone di una certa sensibilità mi ascoltano anche per ore, alcune coppiette si baciano sulla mia musica, altre ballano, qualcuno esprime il suo dissenso, altri sono felici di incontrare una figura fiabesca. Capita che una signora del borgo marinari mi dà i calci alla cassetta degli spiccioli perché non vuole che io mi metta lì e che un’altra invece, come il soprano Anna Netrebko rimane incantata e mi chiede pure se può farmi un video. Come lei anche Noa, mi abbracciò addirittura. Sì, veniamo ghettizzati dai vigili e dalle persone che non ci vogliono ascoltare. L’artista di strada oggi è cambiato per via della tecnologia. Usa amplificatori a batteria che pochi anni prima non esistevano e questo da un lato è un bene perché riesce a farsi sentire ma dall’altro è un male per chi non vuole subire gli alti volumi sotto casa. Ci vorrebbe più senso civico da parte di tutti, l’artista dovrebbe sapientemente dosare i volumi rispetto a dove si trova e i vigili e le persone dovrebbero non prendersela troppo specialmente con artisti non amplificati che hanno sfoderato una chitarra solo per fare una serenata o una cantata tra amici.
Ultima domanda: hai un sogno nel cassetto? Cosa vorresti fare “da grande”?
Da grande vorrei migliorare tutto quello che faccio ed esibirmi di più nei teatri, specialmente d’inverno perché fa freddo. Vorrei che mi facessero recitare nei film, prima come maschera e poi anche in borghese, vorrei riuscire a scrivere opere memorabili e avere più allievi di mandolino a cui insegnare il mio libro. Sono curioso di vedere ciò che sarò.
L’incontro tra la tradizione e le nuove tecnologie è la chiave per garantire la vitalità di questa forma d’arte nel futuro: il teatro ha sempre saputo rinnovarsi nel tempo, restando ugualmente fedele alla sua essenza. Il teatro è e resterà sempre un ponte tra passato e futuro, un luogo dove l’immaginazione può prendere vita e dove il pubblico, nella sua unicità, può essere parte di qualcosa di più grande.
Appuntamento allora alle ore 18 del 29 dicembre 2024 al Teatro TheAtri, Largo Proprio di Arianiello, 12 Napoli (nei pressi di via Tribunali).