Pompei, metafora di un paese che si sta sgretolando

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di Tonino Scala

Pompei crolla, crollano le mura, crollano gli stucchi, crolla la storia un grande paese, crolla l’Italia. È da lì, da quei crolli che bisogna guardare la decadenza italiana alle prese con la corruzione e con la politica dell’austerity. Pompei il più grande sito archeologico al mondo crolla e l’Italia continua a stare a guardare. In tre anni sei crolli mentre si attende l’arrivo del direttore generale, Giovanni Nistri, nominato dal ministro per i Beni culturali, Massimo Bray, lunedì scorso, ma non ancora giunto a Pompei.

Pompei crolla e Marcello Fiori, l’ex commissario straordinario per gli scavi, quello dell’acquisto di circa mille bottiglie da 55 euro l’una, così come afferma la magistratura in una delle tante inchieste sulle spese folli nel Belpaese, un’enorme partita di vino chiamato «Villa dei Misteri», diventa l’organizzatore dei club di Forza Silvio. Quei soldi sarebbero stati sufficienti a pagare per un anno tre archeologi e dedicarli alla cura della quale avevano bisogno i 66 ettari e le 1500 domus del sito. È l’Italia ragazzi, l’Italia che va ma per quanto tempo ancora?

Sembra ieri era il 22 febbraio del 2010 presentavo nella città mariana un dossier, la mia verità sul commissariamento degli Scavi di Pompei. Oggi altri crolli che insieme a quelli degli scorsi anni rischiano di dare il colpo di grazia ad un pezzo di storia del nostro paese. Avevo ragione, ma a che serve oggi ricordarlo. Pompei, si proprio Pompei, la città romana sepolta dalla cenere del Vesuvio, Patrimonio dell’Umanità protetta dall’Unesco dal 1997. Un patrimonio che continua a soffrire, duemila anni dopo, per l’abbandono e l’imperizia delle autorità. Tanto, che per la prima volta in Italia un sito archeologico veniva sottoposto a commissariamento. Nel lavoro redatto si passava sotto la lente di ingrandimento due anni di gestione commissariale: “commissariare Pompei non è servito a riportare l’area in un alveo di piena legalità e di rispetto delle regole, perché non è stata, e non sarà, accompagnata da mutamenti non solo radicali, ma soprattutto frutto di un progetto politico-culturale meditato e perseguito con continuità negli anni a venire, progetto che, al momento, non esiste, almeno, non ci è dato di conoscerlo. Il primo decreto di commissariamento fu deliberato con DPCM del 4 luglio 2008. Fu nominato Commissario straordinario degli scavi pompeiani il fu Prefetto Profili, al quale in seguito successe Fiore. Intanto il commissariamento che doveva durare un anno il 24 luglio 2009 viene prorogato dal Presidente del Consiglio dei Ministri fino al 30 giugno 2010. Nell’ordinanza n. 3795 si conferma la situazione “di grave pericolo per Pompei e le aree ricadenti nel territorio di competenza della Soprintendenza archeologica di Napoli – Pompei”.

Spesso dietro a tanto amore per i beni storici, si nasconde solo un feeling innato con il business. Da quando, con la legge 352 dell’8/10/1997, la Soprintendenza archeologica di Pompei è diventata autonoma, le sue disponibilità finanziarie sono passate dai 4-5 miliardi di lire assegnati annualmente dallo Stato agli oltre 33 milioni di euro delle ultime due gestioni, derivanti per l’82,3% dalla vendita dei biglietti di ingresso e dai servizi aggiuntivi. Una torta che fa gola a molti. Compreso il Comune, che ne vorrebbe una parte. Ma ecco arrivare l’ordinanza 3692 che in un colpo solo si porta via quasi tutta la torta, disponendo il trasferimento di 40 milioni di euro dalla contabilità della Soprintendenza a quella commissariale. La prima conseguenza è che tutti o quasi i progetti relativi alla conservazione furono bloccati. Non credo che i problemi si possano risolvere solo con una legge in particolar modo nel sito archeologico di Pompei dopo anni di commissariamento che hanno aggravato il problema. Non è con sovrastrutture che si risolvono i problemi. Serve una gestione ordinaria seria e vera. Bisogna eliminare le mele marce e gli sprechi. E questo non lo si fa con una legge!

14 dicembre 2013