Recentemente alcuni eventi internazionali hanno acceso i riflettori dell’opinione pubblica, sulla “generazione Z”, realtà di nativi digitali, nati tra il 1997 e il 2012: 10 milioni in Italia, soprattutto adolescenti.
Le Giornate mondiali della Gioventù di Lisbona ne hanno radunato un milione e mezzo di diverse nazioni,uniti da uno sguardo comune ad un futuro di pace; e in questi giorni il“GlobalFriendshipfor a Future of Peace”ha visto migliaia di giovani europei radunati a Padova e Venezia da 14 Paesi per confrontarsisui temi del presente e del prossimo futuro: pace, ecologia, migrazioni esolidarietà.
E’ una narrazione checontraddicelo stereotipodi una societàadulta che spesso accusa i giovanissimi di assenza di ideali e valori, di indifferenza e volubilità;di inaffidabilità e spavalderia, di narcisismo e apatia; ne critica l’utilizzo“smodato” della tecnologia mobile, (circa i tre quarti dei ragazzi tra i 13 e i 17 anni usa lo smartphone ogni giorno, e solo il 35% si informa tramite la televisione), pur condividendone spesso l’assidua fruizione.
Ma come scrive nel suo “La parola ai giovani” Umberto Galimberti”:”Prima di accusare i giovani ……, le generazioni adulte dovrebbero rendersi conto che forse i giovani sono così perchè nati e cresciuti in un mondocreato per loro da noi vecchi”. Crescere in piena digitalizzazione, in un momento storico di continue crisi economiche (dalla recessione del 2008 in poi), di conflitti e di terrorismo, di derive climatiche sempre più inquietanti, ha dato un imprinting decisivo a pensieri, comportamenti, relazioni, modalità comunicative dei giovanissimi. Per non parlare di pandemia e guerra in Ucraina che, secondo Il Rapporto Giovani 2023 “Voglia di futuro” dell’Istituto Toniolo- la maggiore indagine disponibile sui giovani nel nostro Paese –pesano sulla condizione emotiva e psicologica degli adolescenti (con un crollo della “idea positiva di sé”dal 53,3% del 2020 al 45,9% nel 2022)
Nonostante tuttoi giovanissimi,secondo una recente indagine della Fondazione Veronesi, esprimono valori positivi, essendotra l’altro generalmente “orientati all’impegno sociale e responsabili, indipendenti e determinati, sensibili ai principi dell’onestà e della lealtà; fautori di sostenibilità ambientale, di inclusione, diritti umani, onestà e trasparenza;desiderosidi aiutare le persone.”.
Piuttosto, spesso in questa generazione c’è una sofferenza – nascosta o espressacon tratti di disagio–dovuta al grave deficit di presenza edascoltoda partedi adulti troppo autocentrati nel rincorrere se stessi e i propri protagonismi, per poter fare spazio e dare stima ai giovanissimi. Scrive al riguardo lo psicoterapeuta Matteo Lancini: “Gli adolescentiscontano la mancanza di figure autorevoli capaci di guidarli nel loro percorso evolutivo”.In altri termini, sono soli:questo è un nodo cruciale.
Soli non perché iperconnessi. Al contrario i giovanissimi utilizzano Internet e social media e si inventano piazze virtuali per interagire con i coetanei e aumentare le proprie capacità relazionali, per costruire spazi di espressione: quindi proprio per cercare di vincere l’isolamento.
Come sostenereallora la loroappassionata maproblematica attesa di futuro?
SecondoPapa Francesco nell’incontro concretocon la generazione degli anziani, che “sono il futuro”,perché consentonoai giovanissimidi non recidere il legame con la propria storia, cultura e famiglia(pensiamo al valore della figura cardine del nonno).
In realtà, anche se apparentemente lontanissime, adolescenza e vecchiaia – come scriveLuciano Moia – sono età che hanno tanto in comune: stravolgimentodel corpo, della propria identità,del proprio ruolo sociale;affievolirsi dei riferimenti e degli equilibri del passato, bisogno di sostenibilità urbana.
Soprattutto senso di inutilità e solitudine:“I vecchi senza amore muoiono”, ha detto un’anziana. Anche i giovanissimi, senza qualcuno per cui contare,restano solidavanti a un futuro incerto e preoccupante.
Ma questa condizione paradossalmente può favorirela ricerca di insospettate e felicisinergie, come quando gli adolescenti si allontanano dal centro della propria solitudine,verso quelle concrete periferie esistenziali e urbane della terza età che sono gli istituti: è l’esperienza pluridecennale della visita che molti adolescenti legati alla Comunità di Sant’Egidio fanno loro regolarmente.
L’ingresso degli adolescenti in un istituto per anziani, è un’irruzionedi vita che spazza via la tristezza insopportabile di un luogo anonimo, donando nuove energie e gioia ad anzianiisolati nell’ abbandono, che sembravano inerti e che invecesi riaccendono di speranza per aver trovato risposta al proprio bisogno di affetto.
Igiovanissimi–fragili e insicuri perché cresciuti in una società frammentata dalla crisidei legamidi comunità -nell’incontro con questi nuovi nonni sorridenti e grati sono incoraggiati, inteneriti e attratti dalla loro debolezza e mitezza così lontanadalla logicaopprimente dell’individualismo e della forza; scoprono e sperimentano così nuova utilità e valore della propria vita nel dare (e ricevere) loro gratuitamente compagnia, vita, gioia e speranza.
In quegli anzianitrovano finalmente qualcuno che ha tempo e voglia di ascoltarli, e amore da dedicare loro. Una rispostaprofonda al proprio senso di orfananza e di vuoto,una bussola affettiva importanteche li orienta e li aiuta a crescere: una solida ancora di salvezza dalla montante mareagiovanile di aggressività e violenza (aumento dell’11% di minori arrestati o denunciati dal 2021 al 2022-Rapporto Eurispes 2023)
Giovanissimi e anziani insieme,in questo nuovo legame “di famiglia”vedono e vivono già il futuro, perché amano e sono amati: è un modello possibile di reciproca liberazione dalla condanna all’isolamento e all’inutilità che affligge le nostre città.