Il caso più recente è quello di Simone, 21 anni e tante telefonate alla Gay Help Line per chiedere aiuto, trovare la forza di reagire agli insulti omofobi di cui era vittima all’università, prima di quel maledetto 27 ottobre, il giorno del gesto fatale. Ancora, prima di lui era toccato a Roberto, 14 anni, anche lui vittima dei bulli, anche lui stanco di essere preso di mira. Anche lui morto suicida, gettandosi nel vuoto dal terrazzo di casa lo scorso agosto.
Il suicidio degli adolescenti fa paura, non soltanto perché è una sconfitta sociale, ma anche perché è un gesto che matura in sordina, le cui cause sono complesse e molto spesso imprevedibili. Gli ultimi dati, risalenti al 2010, parlano di 24 minori suicidi in un anno: 17 maschi e 7 femmine, alcuni con problemi conclamati di natura psichica. Tra loro, gli adolescenti omosessuali, non sempre dichiarati, più spesso vittime di atti discriminatori, esclusi o emarginati per quella “diversità”, presunta o vera, per un’omosessualità che, a quell’età, non sempre è una scelta definitiva.
“Ritengo che una delle cause principali del suicidio sia l’incertezza della propria identità: a far rischiare il suicidio non è l’identità affermata di omosessuale, ma l’addebito da parte degli altri di una presunta omosessualità che in molti casi va ad accentuare un’incertezza che, a quest’età, può essere assolutamente fisiologica” spiega Marina Sapio, neuropsichiatra e psicoterapeuta dell’età evolutiva.
Come nel caso di Andrea, 15 anni, studente di Roma. Preso in giro dai bulli della scuola per un paio di pantaloni rosa. Rimproverato dalla prof. per aver messo lo smalto. Strangolato il 20 novembre da una sciarpa che lui stesso si era messo intorno al collo per non essere più costretto a subire insulti e vessazione. Anche se, Andrea, quei pantaloni li aveva scambiati in lavatrice, e lo smalto lo metteva per non mangiarsi le unghie. Perché Andrea non era gay, o almeno, forse non era ancora sicuro di esserlo.
E poi la solitudine, il senso di inadeguatezza, la certezza di essere predestinati ad una vita infelice. Come racconta Raffaella, che, a 14 anni, anche lei vittima dei bulli del suo paese, ha tentato il suicidio. “Mi dicevo: ho questo problema, perché a quanto pare essere omosessuale è un problema, non sono bella, sono rimasta sola, la mia vita sarà sempre così, farà sempre schifo; allora non ha più senso che io viva”.
Oggi Raffaella è uscita dalla spirale depressiva, ha ripreso a vivere e, in memoria di quei tempi bui, ha trovato il coraggio di fondare un’associazione per aiutare tutti gli omosessuali, giovani e meno giovani, uomini e donne, “che adesso si sentono come io mi sono sentita in passato. Sola, e senza via d’uscita”.
Una via d’uscita invece esiste sempre; e se è vero che l’epidemiologia degli studi fatti sul suicidio adolescenziale rileva una spiccata tendenza degli adolescenti omosessuali, soprattutto maschi, a mettere in atto comportamenti rischiosi, fino all’atto suicidario vero e proprio, è anche vero che esiste una rete di persone, professionisti e non, pronta ad offrire il proprio aiuto a chi non può farcela da solo. Al centro di questa rete c’è, secondo gli esperti del settore, la dimensione dell’ascolto: creare una trama di supporto intorno all’adolescente che sappia andare oltre il visibile, capire quando e dove, dietro atti o incidenti apparentemente banali, si annida un disagio che ha bisogno di essere raccontato a qualcuno.
“Un adolescente arriva, ad esempio, al pronto soccorso con una gamba fratturata, e risulta soltanto un adolescente con una gamba fratturata, mentre invece probabilmente quella persona sta cercando di chiedere aiuto” spiega il prof. Ferrara, neuropsichiatra. Rivolgersi a uno specialista è importante perché, molto spesso, “un amico del cuore può non bastare”, sottolinea la Sapio.
Il nostro reportage si rivolge a tutti gli adolescenti (omosessuali) che, anche solo una volta nella loro vita, hanno pensato al suicidio. Per dimostrare che c’è chi ce l’ha fatta, e che esiste un modo per uscire da quell’angolo di solitudine nel quale ci si sente troppo spesso rinchiusi.