di Eliana Iuorio ed Anna Copertino
La ‘ndrangheta, in accordo con la mafia catanese che aveva compiuto il salto di qualità, entrando in relazione con potentissimi gruppi economici, mirava alle attività del Musella. L’uomo che li sbattè fuori dalla porta, l’uomo che denunciò i legami tra mafie e politica e che trovò la morte quel 3 maggio 1982, saltando in aria a Reggio Calabria, nell’autobomba che distrusse il suo corpo, ma non la sua anima e la sua forza.
Adriana Musella è sua figlia, una donna di grandissimo coraggio, che ha saputo tradurre la Memoria in Impegno civile quotidiano, nell’opera di contrasto alle mafie.
L’abbiamo incontrata presso La Feltrinelli di Napoli. Occasione, la presentazione del libro dedicato alla vita di Gennaro Musella. “Vittima di mafia. Nome comune di persona“, di Salvatore Ulisse Di Palma.
Ai nostri microfoni, insieme a Maria Belfiore, imprenditrice napoletana che ha denunciato il racket e che oggi è parte attiva nel FAI (Federazione delle Associazioni Antiracket ed Antiusura Italiane). “Chi denuncia, oggi non è più solo” – ripete Maria –
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