Alla scoperta dell’invisibile di Loredana de Vita recensito da Angela Procaccini

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alla scoperta dell'invisibile
I giovani hanno bisogno di esempi di onesta, di coerenza e di altruismo“.
Sandro Pertini

“Alla scoperta dell’invisibile” secondo Angela Procaccini

Premessa: Anna Copertino, giornalista che conosco da tempo e che stimo molto per il suo impegno sociale e civile coordinato da una sagace e costruttiva intelligenza, circa 30 giorni fa mi ha chiesto di presentare il libro “Alla scoperta dell’invisibile di Loredana de Vita, scrittrice, regista, sceneggiatrice, ma soprattutto Docente con Ia D maiuscola.
Due i motivi che non mi potevano permettere un rifiuto: l’amicizia con Anna e l’ammirazione per una donna, Loredana, che vive il suo confronto e Ia sua relazione con gli studenti come una vera passione, nel senso etimologico del termine. Perché il verbo greco thaw, nella sua radice e nel suo significato semantico, indica passione ma anche sofferenza. Citt che Ia preoccupazione e l’affetto per i “suoi” ragazzi determinano in Loredana.
II titolo: “Alla scoperta dell’invisibile”, sembra quasi un ossimoro. Infatti l’accostamento di due parole apparentemente inconciliabili, riferite ad una medesima entità, diventa quasi un paradosso. Scoperta, una parola che indica rivelazione, svelamento, apertura. Invisibile, una parola che implica mistero, rarefazione, impalpabilità. Ma le due parole, unite nella medesima locuzione, acquistano una risonanza particolare, direi quasi poetica, in quanto appaiono apertura verso una ricerca continua, che sembrerebbe portare ad una risoluzione. E forse lo fa. Ma se anche non ci riuscisse, evidenzia, comunque, in questa continua e faticosa ricerca che si protrae per tutto iI libro, l’ansia dell’educatore e la passione del “credente”, di colui che crede nel suo compito e nella sua missione.
La copertina: anche Ia copertina di un libro a importante. Rappresenta il primo impatto, quello che ti colpisce da subito. E questa copertina è molto particolare: il colore e forte, ma luminoso, colore di sole e di luce, di chiarezza e di svelamento. Mentre le tre fattezze solo accennate attraverso capelli, barba e baffi, credo vogliano rappresentare la conquista dell’identità degli adolescenti “alla ricerca di sé”, come suggerisce il sottotitolo. Oppure, adulti indifferenti, creature amorfe, senza sguardo e senza identificazione, che si sottraggono all’attenzione dei ragazzi. Non so, sarà l’Autrice a chiarirmelo. Ma forse sarà meglio lasciare il tutto come un “malentendu” (Ia definizione 6 di Pedro Salinas), cioè al fraintendimento che l’immagine suggerisce, lasciando libertà all’interpretazione spontanea dei lettori.
L’exerga: Ia condanna dell’indifferenza.
Ma quello che mi ha colpito in modo forte prima della lettura del testo, stato l’exerga di Elie Wiesel, grande scrittore ebreo vivente (di lui ho letto “La notte”, romanzo autobiografico che racconta le sue esperienze di giovane ebreo nel campo di concentramento).
A mio avviso, I’Autrice non poteva trovare testo migliore di quello di Wiesel che condanna l’indifferenza: l’opposto dell’amore, l’opposto della bruttezza, della fede, addirittura della vita.
Cosa infatti, se non l’indifferenza è la causa prima delle nebbie dei nostri giovani? Perché i nostri giovani, l’indifferenza altrui la sentono, la pesano, la captano, Ia avvertono, l’indifferenza degli adulti che diventa come un guscio che Ii nasconde al loro sguardo, come un buco nell’anima di cui non capiscono la matrice. Ma che Ii turba sottilmente e Ii demotiva.
II testo:
Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo permesso
Eleanor Rosevelt
Come ouverture, un prologo permeato di tenerezza e amarezza, che fin dalle prime pagine mette in luce I’ansia dell’Autrice per i narcisi biodegradabili“, come Loredana definisce i ragazzi, con una similitudine davvero originale e suggestiva, che ha una sua valida motivazione: come Narciso non riconosce nemmeno se stesso specchiandosi nell’acqua, cosi i nostri giovani corrono il rischio di vedersi, ma non riconoscersi: di qui il desiderio quasi di scomparire e modificarsi fino al proprio annullamento totale…“.
Tutto il lavoro della De Vita è permeato di mente e cuore, logica e sentimento, che si avvicendano, si intrecciano, si scambiano, in un vortice di sensazioni e intuizioni, di ragionamenti e sillogismi, che danno vita e energia alle pagine.
Ogni pagina è, infatti, un colloquio con se stessa, docente, donna e madre, che si interroga e si documenta in un incessante labor mentis et cordis per sapere qual è la strada giusta per lasciare un segno positivo nei ragazzi e vincere l’indifferenza altrui.
Ma è un colloquio con i suoi ragazzi, come lei affettuosamente li chiama, di cui vuole chiarire dubbi e a cui vuole fornire calore di energia.
“I miei ragazzi vi osservo e mi arride al cuore il pensiero di quanto vi debba sembrare difficile crescere…“. Si apre cosi questo libro straordinario che ogni insegnante dovrebbe leggere, quasi un vademecum che insegni l’Amore (perché l’insegnamento è un atto di Amore), Ia tenacia, il sacrificio, Ia comprensione e soprattutto l’umiltà.
Ed è anche un colloquio con le agenzie formative fondamentali: il termine, freddo e asettico, comprende famiglia, scuola e mass media, “mediatori di conoscenza“, come Ii chiama Loredana, utili a dare una linea guida, un percorso valido. Ma Ia famiglia è spesso troppo spaventata e gli adulti hanno difficoltà a credere ancora in qualcosa; perché spesso non educano più alla speranza, ma alla paura. La famiglia, in definitiva, risulta cosi protettiva, per certi aspetti soffocante: smussa le differenze fra le generazioni mentre innesca una sindrome che tende a chiudere i giovani nei confronti del mondo esterno
La scuola è importante, è molto importante. Perche è il luogo del confronto, della relazione, e il luogo della memoria e della costruzione dei saperi nuovi“. Ma lo può fare, nota I’Autrice, solo se non si cristallizza o si paluda. Lo deve fare e-ducando, nel senso etimologico del termine, da e-ducere, tirando su con Amore. Perché il giovane, scrive Edgar Morinha bisogno non solo di capire di più ma anche di comunicare di più, di partecipare di più. Ha bisogno di pià amicizia. Di più amore” (E. Morin, lntroduzione ad una politica dell’uomo). Anche l’altro etimo di educazione è intrigante: da edu- care, aver cura della formazione. L’etimo che riporta Loredana.
Infine i media, anch’essi hanno un ruolo formativo essenziale nella nostra società, ma presi sempre con particolare attenzione. Si deve difendere la libertà della comunicazione, ma bisogna altresì tutelare Ia libertà di crescita. Si deve fare informazione, ma rispondendo sempre al criterio dell’oggettività.
E tanto altro si dovrebbe dire di questo libro “tresor”, come lo definirei.
Ad esempio, iI capitolo sul futuro: la paura del futuro ci fa sprecare il nostro tempo, scrive la De Vita. Bello questo messaggio. Bello e vero! 0 ancora l’altro pensiero, che io trovo validissimo per i giovani, e non solo per loro: bisogna riscoprire il desiderio di sognare e l’ambizione di costruire i propri sogni. E qui mi viene in mente una frase dello stesso stile di Eleanor Rosevelt (attivista e first lady statunitense, che ha avuto un ruolo importante nella creazione delle Nazioni Unite): Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni“. Bisogna crederci perche i progetti si realizzino!
Anche il capitolo sul Cutting, pratica di procurarsi tagli sul corpo molto diffusa tra i giovani che vivono Ia sofferenza del vivere, è drammatico, sia nell’analisi quasi chirurgica del fenomeno, sia nella introiezione del malessere che sembra tagliare ii corpo anche di Loredana.
Non voglio aggiungere altro se non il consiglio, per chi ama il contatto vero con i ragazzi e ha a cuore il loro benessere, di leggere il testo. Con riflessione, con profondità, con attenzione, con umiltà. Soprattutto con umiltà. Perché il contatto e Ia frequentazione con i ragazzi ci deve mettere sempre nella condizione di inadeguatezza di fronte alla delicatezza del rapporto.
II consiglioMi viene in mente un verso di Ungaretti, che, nella sua bellezza, racchiude un principio di “logica etica” che anche nel libro della De Vita si vuole additare: D’Itaca varco le fuggenti mura” (in Vita di un uomo, Le ragioni di una poesia).
A parte il fascino di un viaggio odissaico mai concluso e sempre in vista dell’approdo, il verso ci dà anche una lezione di metodo, come fa Ia De Vita: il nostro agire intellettuale deve essere sempre un varcare limiti, che devono essere rigorosamente posti, perché in loro c’è il principio stesso del loro superamento.
In caso contrario (ed a quello che sta accadendo oggi anche per i giovani nel vivere associato), senza limiti rigorosamente posti per essere poi varcati, sta La society liquida” descritta da Zygmunt Bauman, senza forma e senza argine, che va e si perde, senza porto e senza progetto.
II libro “Al di la dell’invisibile” può essere a tale proposito una consapevolezza dei limiti che la vita e Ia society pongono, inevitabilmente, ai ragazzi, ma anche un aiuto, un metodo, un supporto agli adulti per permettere loro di superarli nel modo giusto e nella prospettiva di una crescita armoniosa e completa.
La conclusione: Ma qual è Ia via d’uscita? Mi viene spontanea Ia risposta additata da Dag Hammarskjold (diplomatico, economista e scrittore svedese, Premio Nobel per Ia Pace) nel suo “giornale dell’anima”: “Negato ogni sbocco/ il calore muta/ carbone in diamanti“. lo aggiungo, a corollario, da ogni prigionia sorga una istituzione della speranza!
La speranza, quella molla reale, non utopica, che dovrà servire a dare luce a se stessi, come dice I’Autrice nel prologo del libro, cui ritorno in forma ciclica in chiusura.
Angela Procaccini