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Attilio Romanò, ucciso per errore dalla camorra: ergastolo al boss Marco Di Lauro

Condannato all’ergastolo Marco Di Lauro, quarto figlio del capoclan Paolo Di Lauro, accusato di essere il mandante dell’agguato nel quale venne ucciso Attilio Romanò, assassinato il 24 gennaio del 2005

La Corte di Assise di Appello di Napoli (presidente Romano, giudice a latere Taddeo) ha condannato all’ergastolo Marco Di Lauro, quarto figlio del capoclan Paolo Di Lauro, accusato di essere il mandante dell’agguato nel quale venne ucciso Attilio Romanò, assassinato il 24 gennaio del 2005 nel negozio nel quale vendeva telefonini, perchè scambiato dai sicari per il nipote del boss scissionista Rosario Pariante. Presenti in aula, l’assessore comunale Alessandra Clemente, la madre di Attilio, la sorella Maria e il marito di quest’ultima. La difesa di Di Lauro, gli avvocati Pecoraro e Cola, hanno annunciato il ricorso in Cassazione.

 

Marco Di Lauro condannato all’ergastolo, le dichiarazioni contestate dai legali

Marco Di Lauro ha appreso della condanna collegato in videoconferenza con il carcere di Sassari, dove è detenuto. Per questo omicidio venne condannato in primo e in secondo grado all’ergastolo poi la pena venne cancellata dalla Cassazione che si rifece al pronunciamento del Tribunale del Riesame. La Suprema Corte ha quindi disposto un nuovo processo d’appello per l’ex superlatitante, acciuffato lo scorso marzo, dopo 15 anni alla macchia. L’accusa, rappresentata dal procuratore generale Carmine Esposito, nella scorsa udienza, ha presentato atti riguardanti l’attendibilità di due collaboratori di giustizia, Antonio Accurso e Gennaro Puzella le cui dichiarazioni in relazione all’omicidio Romanò sono state contestate dai legali di Marco Di Lauro, gli avvocati Gennaro Pecoraro e Sergio Cola.

Non abbiamo messo in discussione l’attendibilità dei collaboratori di giustizia in generale, – ha detto l’avvocato Pecoraro – noi mettiamo in discussione l’attendibilità dei collaboratori in relazione a questa vicenda giudiziaria per la quale riferiscono fatti appresi da terzi e non appresi in prima persona. La stessa Corte di Cassazione – ha ricordato Pecoraro – ha detto che per quanto i collaboratori possano riferire circostanze apprese da altri in ordine alla strategia omicidiaria di Marco Di Lauro comunque non vi è nessun riferimento diretto“. Secondo una ricostruzione l’agguato in cui morì Attilio Romanò avrebbe avuto un duplice movente: manifestare la forza del clan, nonostante l’arresto del reggente Cosimo e convincere gli investigatori che non fosse Cosimo Di Lauro a decidere le azioni di fuoco, o almeno non solo lui, come si ipotizzava. Le motivazioni della sentenza saranno rese note entro 60 giorni.

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Redazione Desk

Questo articolo è stato scritto dalla redazione di Road Tv Italia. La web tv libera, indipendente, fatta dalla gente e con la gente.

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