NAPOLI – “Barack Obama restituisca il Premio Nobel per la pace”. Recita così uno dei cartelli esposti ieri davanti al consolato americano a Napoli, in un sit-in di protesta organizzato dal movimento politico Millennium per dire no all’ipotesi di un intervento statunitense in Siria. Tra le ipotesi su chi abbia utilizzato i gas letali si fa strada l’idea che si sia trattato di una mossa strategica attuata dai ribelli, un pretesto per far scoppiare il casus belli e giustificare quindi l’attacco Usa in quella zona.
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di Maria Stella Rossi – “Un alto esponente del regime profondamente connesso con l’offensiva, ha confermato l’uso di armi chimiche da parte del regime il 21 agosto”. È quanto si può leggere in un dossier presentato da Washington dopo le intercettazioni telefoniche effettuate in Siria da parte dell’intelligence.
L’America di Obama non ha dubbi: le prove ormai ci sono e un’azione così riprovevole va punita. È quanto ha detto John Karry, il Segretario di Stato statunitense, arrivando a definire il dittatorie siriano Bashar al-Assad come un “assassino e criminale”.
Neanche l’improvviso e inatteso cambio di rotta della Gran Bretagna, con il secco no da parte del Parlamento su un possibile intervento in Siria, sembra poter fermare gli USA. “Il Parlamento ha parlato e va ascoltato” ha detto David Cameron. “Gli americani e il presidente Obama capiranno. Londra continuerà a lavorare per fare pressione su Assad”.
Di diverso avviso, invece, la Francia di Hollande. “Noi siamo pronti”, ha detto il presidente francese, aggiungendo che “il crimine commesso dal regime non può restare impunito.”
E se i cugini d’oltralpe dell’Italia hanno fin da subito sostenuto gli Stati Uniti, stessa cosa non si può dire per il Belpaese. Secondo Emma Bonino, il ministro degli esteri italiano, un intervento in Siria porterebbe ad una “deflagrazione mondiale”, senza tener conto, poi, di una reazione non solo siriana, ma anche degli Hezbollah, della Russia e dell’Iran. Insomma, per l’Italia la questione è da trattare con i guanti, preferendo la diplomazia ad un intervento militare.
A nulla sono valse le parole di John Karry su un attacco di breve durata. “Dopo dieci anni l’America è stanca della guerra. Non ripeteremo gli stessi errori commessi in Iraq.” ha detto, trovando anche il sostegno della Turchia, da sempre antagonista della Siria e intenta più che mai a far cadere il regime di Assad. Ma la posizione italiana – e quella delle altre potenze che hanno rifiutato di appoggiare gli Stati Uniti – non sembra poter vacillare tanto facilmente.
La situazione, ormai precipitata e in caduta libera, somiglia quasi a un tutto contro tutti, dove in pochi tengono ancora in considerazione la figura dell’ONU e degli ispettori inviati in Siria, che proprio in queste ore, dopo aver concluso le loro indagini sull’effettivo utilizzo delle armi chimiche, si sono diretti da Damasco all’aeroporto di Beirut su un convoglio delle Nazioni Unite.
I risultati delle prove raccolte, però, non saranno imminenti. “Ci vorrà del tempo, due settimane” ha detto Ban Ki-moon, ma questo non sembra comunque placare gli animi interventisti.
Gli americani hanno già dispiegato al largo delle coste siriane diverse navi da guerra “come precauzione”. L’attacco pare imminente.
A nulla sono valse le proteste della Russia e sul ruolo fondamentale da dover affidare all’ONU. “Azioni che oltrepassino in Consiglio di Sicurezza attenderebbero gravemente al sistema basato sul ruolo centrale delle Nazioni Unite, dando un colpo serio all’ordine mondiale.” Questo è quanto stato detto dal Cremlino e il ministro degli esteri russo Gatilov ha aggiunto che la Russia è contraria a “qualsiasi risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che possa essere usata per un’azione di forza contro la Siria.”
Anche l’opinione pubblica pare contro un intervento armato e a Washington centinaia di persone si sono riversate nelle strade della capitale, manifestando contro la guerra con cartelloni e striscioni.
John Karry ha ragione: l’America è parecchio stanca. Ma non si tratta degli stessi Stati Uniti da lui decantati, ma degli Stati Uniti delle persone comuni, stufi degli attacchi militari intrapresi dal loro Paese e del ruolo centrale che continua a voler mantenere a tutti costi all’interno del sistema delle relazioni internazionali.
E col senno di poi mi verrebbe da chiedere a coloro che si avvalgono con arroganza della pretesa di poter scavalcare un’autorità mondiale come l’ONU, ai grandi della politica internazionale: è davvero giusto voler esportare a tutti i costi la democrazia, intesa ovviamente in termini americani, tramite l’utilizzo delle armi?
AGGIORNAMENTO DEL 02/09/2013 – di Maria Stella Rossi – “L’attacco del governo siriano con armi chimiche è stato un assalto alla dignità umana. Siamo pronti ad attaccare”. Questo è quanto detto da Barack Obama sabato 31 agosto, in un discorso dalla Casa Bianca, affermando però che, prima di prendere qualunque iniziativa, attenderà il voto del Congresso.
Dopo le parole del presidente americano, nuove reazioni da parte del mondo politico e dell’opinione pubblica internazionale non si sono di certo fatte attendere.
Numerose le manifestazioni contro la guerra non solo a Washington, ma anche nelle principali città della Terra, in particolar modo di fronte le ambasciate o i consolati statunitensi. Più diversificate, invece, le risposte da parte dei rappresentanti governativi.
Mario Mauro, il ministro della difesa italiano, ha commentato con favore la decisione di Obama di rimettersi al voto del Congresso: “Speriamo tutti in una soluzione politica” ha detto, parlando anche di un risveglio della coscienza mondiale.
La Lega Araba ha ribadito il suo essere ben disposta ad utilizzare la diplomazia come unica strategia per ripristinare la pace in Siria, ma non interverrà con corazzate militari.
Dal Cremlino, invece, dopo l’invito agli Stati Uniti di portare in sede ONU le prove da loro raccolte sull’utilizzo delle armi chimiche da parte del regime di Assad, c’è forte scetticismo sul dossier presentato da Washington qualche giorno fa. “Ci hanno mostrato alcuni materiali che non contengono nulla di concreto e che non ci convincono. Non ci sono né mappe geografiche né nomi. Inoltre ci sono molte incongruenze, restano moltissimi dubbi.” questo è quanto affermato il ministro degli esteri russo Lavrov, aggiungendo che “Russia e Cina sono esclusivamente per soluzioni diplomatiche e sono contrarie al ritorno al linguaggio degli ultimatum e alla rinuncia del negoziato”.
Neanche le parole di John Karry, il quale ha paragonato la figura del dittatore siriano a quelle di Hitler e Saddam, pare abbiano convinto Mosca sulla necessità di un attacco. Eppure il Segretario di Stato USA ne è certo, il Consiglio darà voto favorevole all’azione militare che il presidente Obama, affiancato da Francia e Turchia, vuole intraprendere.
Dello stesso avvertimento non sono i media siriani, i quali hanno visto la decisione di consultare il Congresso americano come un dietro front degli Stati Uniti. “Obama è diventato ormai oggetto di sarcasmo da parte di tutti” ha detto ironicamente il vicepremier Qadri Jamil, “è stata la determinazione della Siria a sventare l’aggressione, ma rimaniamo col dito sul grilletto e ad avere grande fiducia nei nostri alleati.”
Anche l’ambasciatore siriano alle Nazioni Unite, Bashar al Jafari, si è lasciato andare a delle dichiarazioni in merito: “Obama si è arrampicato fino alla cima dell’albero e non sapendo come scendere si è rivolto al Congresso. Ha fatto bene, è così che il premier inglese David Cameron è sceso”.
Dagli avvenimenti di questi giorni sembra che la credibilità internazionale di Barack Obama vacilli pericolosamente. Il mondo intero segue la vicenda con il fiato sospeso, tutti del resto sanno cosa comporterebbe un attacco in Siria.
“La terza guerra mondiale”, hanno paventato alcuni, fra cui anche Papa Francesco, che nel suo Angelus di domenica ha proclamato per sabato 7 settembre una giornata di digiuno e preghiera. “La forza non risolve nulla”, ha detto il Santo Padre, affermando a grande voce l’importanza della pace e non delle armi.
La questione, dunque, è ancora aperta. C’è da dire che sulla Casa Bianca pesano enormemente gli errori compiuti in Iraq più di dieci anni fa e l’opinione pubblica, si sa, non dimentica facilmente e tende a far ricordare e a pesare ai propri governanti le scelte sbagliate.
Se dovesse davvero esserci un dietro front ufficiale degli Stati Uniti e dei suoi due unici alleati, allora il mondo avrà schivato un’altra pallottola pericolosa, ma le cose, nel bene o nel male, sono comunque cambiate e la tensione ormai è salita alle stelle.
Forse, Obama, quel premio Nobel per la pace nel 2009 non l’ha meritato poi così tanto.
AGGIORNAMENTO DEL 04/09/2013 – di Maria Stella Rossi – Dopo le parole del vicepremier Qadri Jamil e dell’ambasciatore della Siria all’ONU Bashar al Jafari, anche Bashar el-Assad, l’attuale presidente siriano, ha deciso di dire la propria e l’ha fatto sulle pagine di una delle maggiori testate giornalistiche francesi: Le Figaro.
“Il Medio Oriente è una polveriera e la miccia sta diventando sempre più corta.” ha affermato impietosamente il dittatore, aggiungendo che “Non bisogna solo parlare della risposta siriana, ma anche di ciò che potrebbe succedere dopo il primo bombardamento. Ora, nessuno può sapere cosa succederà. Tutti perderanno il controllo della situazione quando la polveriera esploderà. Il caos e l’estremismo si espanderanno. Se dovessero bombardare la Siria, esiste il rischio di una guerra regionale.”
Dunque, quella di Assad sembra una sentenza senza scampo, ma l’intervista rilasciata al giornale francese non finisce qui.
Il premier siriano ha anche parlato dell’utilizzo delle armi chimiche, trovando il discorso portato con fervore avanti dagli Stati Uniti e suoi pochi alleati del tutto privo di senso. “Supponiamo che il nostro esercito voglia utilizzare armi di distruzione di massa: è possibile che lo faccia in una zona dove esso stesso si trova e dove soldati sono stati feriti da tali armi, come hanno constatato gli ispettori delle Nazioni Unite recandosi in visita all’ospedale in cui sono ricoverati? Dov’è la logica?” ha domandato, lasciandosi poi andare a delle dichiarazioni sulla Francia e sul popolo francese.
“Chiunque operi contro gli interessi della Siria e dei suoi cittadini è un nemico.” ha detto, tenendo però a precisare che “Il popolo francese non è nostro nemico, ma la politica del suo Stato è ostile al popolo siriano. Questa ostilità finirà quando lo Stato francese cambierà politica.”
In ultimo Assad non si è neanche lasciato sfuggire la ghiotta occasione di commentare le accuse a lui mosse nei giorni scorsi da Obama e Hollande. “Abbiamo sfidato gli Stati Uniti e la Francia a portare una sola prova. Obama e Hollande ne sono stati incapaci, anche davanti ai loro popoli.”
A quanto pare la strategia di Bashar el-Assad è ormai ben chiara: premere sull’opinione pubblica mondiale affinché quest’ultima si rivolti contro i principali esponenti politici occidentali, umiliare pubblicamente i suoi nemici sulle pagine di un giornale facente parte di un Paese pronto ad attaccare la Siria e perché no, togliersi finalmente quel sassolino scomodo e appuntito tenuto nella scarpa da troppo tempo.
14:48
04/09/2013
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