“Stavamo camminando, semplicemente, in un post-serata normalissimo tra due persone che, a un certo punto, sentono anche il desiderio di manifestare quello che per loro è un gesto piacevole”. A piazza Monteoliveto, Napoli, sono le 5 di mattina tra il 4 e il 5 gennaio, quando l’idillio viene improvvisamente interrotto. Antonio e il suo compagno vengono aggrediti alle spalle da 7 persone che li stavano pedinando, schiaffeggiati e derisi con una violenza che fa più male dei ceffoni. Tutto avviene nel giro di pochi istanti: dopo lo schiaffo al compagno di Antonio gli aggressori scappano, poi tornano indietro per “castigare” definitivamente i due ragazzi, colpevoli soltanto di essersi concessi delle pudiche effusioni in strada. Effusioni sconce, secondo chi li ha picchiati, perché essere gay non è normale, non è sano, non è permesso.
Il racconto di Antonio, vittima di questa violenza ingiustificata e gratuita, è quello dell’ennesima aggressione a sfondo omofobico consumatasi nel centro di Napoli: lo scorso novembre toccò a due ragazzi, picchiati in piazza Dante perché si stavano baciando. Questa volta è toccato ad Antonio e al suo compagno. Ma sarebbe potuto capitare a chiunque altro. “Piazza Monteoliveto è frequentata da molti giovani, anche giovanissimi” spiega Antonio. “Sono loro a essere più in pericolo, perché sono quelli che si espongono in maniera più ingenua”. “Esporsi” significa manifestare pubblicamente il proprio orientamento sessuale, con un semplice bacio, o una carezza. Gesti che dovrebbero essere normalissimi, ma che purtroppo per qualcuno non lo sono. E anzi, diventano la molla che fa scattare l’omofobia. “Questa volta è capitato a me, ma sarebbe potuto capitare a un altro ragazzo, magari più piccolo, che avrebbe potuto reagire diversamente, restare scottati, iniziare ad avere paura”.
“Io vorrei solo sapere perché l’hanno fatto. Delle ferite mi importa poco. Ma il perché… io mi sento calpestato. Io, che da quando ho dichiarato la mia omosessualità sono sempre stato attento a comportarmi con decoro, nel rispetto di tutti. E ora quello stesso rispetto a me è stato negato”. Ha solo 21 anni, Antonio, ma ha le idee chiare. Non solo sul suo orientamento sessuale, ma anche su cosa siano la libertà e i diritti. “Credo che nessuno possa costringere nessuno a non fare qualcosa. Non ho paura, perché in questo momento avere paura significherebbe soccombere. Io non voglio lasciarmi intimidire, anzi: sto denunciando, e voglio continuare a denunciare affinché il mio venire allo scoperto serva da sprone anche agli altri”.
“Quello che state facendo voi” risponde Antonio ai cronisti assiepati intorno a lui per l’intervista. “Credo che i nostri assi nella manica siano due: la coscienza e l’informazione. Purtroppo ce n’è poca, sia da parte nostra che da parte di chi ci ha aggredito: io non credo che si siano resi conto della gravità di quello che hanno fatto”. E, dall’altra parte, c’è la paura di denunciare violenze a sfondo omofobico. “Le denunce sono poche” spiega Antonio, “anche se questi episodi sono tantissimi. La voce di denuncia che viene innalzata non è mai abbastanza forte”. Ma oggi, grazie ad Antonio e al suo coraggio, lo è un po’ di più.
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