Il Napoli, la mia squadra del cuore, vince la Coppa Italia, 3-1 con la Fiorentina, doppietta di Insigne, goal di Mertens, nel giorno del mio quarantesimo compleanno, ma non mi va di festeggiare. Questo calcio non mi piace. Non riesco a far festa sapendo degli scontri in una Roma blindata, dei feriti, di cui uno grave, delle pistolettate, dei fischi all’inno di Mameli alla presenza del Presidente del Senato e del Consiglio dei ministri, della Polizia costretta a trattare con gli ultras per disputare, giocare una partita. Sì, perché è di una partita di calcio che stiamo parlando, non di una manifestazione per mancanza di occupazione in un paese in crisi senza lavoro. Una partita dove lo Stato deve parlare con“Genny ‘a carogna”. Il nome non c’entra, nemmeno il fatto brutto e triste che, a dire dei giornali e degli inquirenti questo signore, Gennaro De Tommaso, sia il figlio di Ciro De Tommaso, ritenuto affiliato al clan camorristico del Rione Sanità dei Misso.
Oramai è chiaro, la letteratura in materia ci parla da anni di rapporti tra clan e gruppi di ultras, Raffaele Cantone, e non solo, ci ha fatto conoscere in “Football club” un bel po’ di legami. La cosa che più m’indigna, al pari degli applausi dei poliziotti del Sap ai condannati per l’omicidio del giovane Federico Aldrovandi, è la maglietta di questo signore: “Speziale libero”. Le telecamere più volte l’hanno ripreso con questa scritta su una t-shirt nera, mentre parlava con capitan Hamsik. Speziale, sì Antonino Speziale, il tifoso accusato e condannato per la morte dell’ispettore capo della polizia Filippo Raciti, deceduto durante gli scontri nel derby Catania-Palermo nel febbraio del 2007. “Genny ‘a carogna” è il mediatore, l’uomo che alla fine dà il via libera che dice ok, si può giocare. Non è questo il calcio che amo, non è questo ciò che vorrei vedere sul terreno da gioco la domenica. No, quando lo sport fa a cazzotti con il buon senso, per colpa di una minoranza, o si riesce ad emarginare questi “signori”, o meglio chiudere gli stadi e fermare il campionato per un paio di anni.
Comprendo tutto, anch’io ero preoccupato, ho chiamato i miei amici allo stadio più volte per avere notizie, per capire se loro stessero bene, ma il calcio è un’altra cosa. Capisco la rabbia, la preoccupazione di tutti, nel pomeriggio Roma Capitale si è trasformata in un campo di battaglia con un bilancio finale che parla di dieci feriti. Tre per colpi di pistola sparati, secondo la Questura, le indagini si focalizzano su ultras della Roma che si sarebbero scontrati con quelli napoletani solo per rovinare la festa. Come se la festa fosse un appannaggio d’invasati e non di famiglie con bambini che erano andati a godersi una giornata di sport.
Alla fine la partita, dopo la trattativa, è iniziata con quarantacinque minuti, ma non sono riuscito a godermi quei momenti, tanta è stata la vergogna, mia come quella di tanti napoletani, italiani, tifosi e non, per quello che è accaduto. Per i fischi al mio inno, alla maglia, per gli scontri, per l’ignoranza umana che ha dominato, pur essendo ad appannaggio di pochi. Alla fine dopo una bella partita, rovinata da stolti, quando la curva ha intonato “oj vita oj vita mia” e i giocatori del Napoli hanno festeggiato in campo, il telecronista ci ha fatto avere notizie sul più grave dei tifosi colpiti, Ciro Esposito, sottoposto a operazione e trasferito al policlinico Gemelli, perché il proiettile ha raggiunto la colonna vertebrale. Una Coppa che lascia l’amaro in bocca, una sconfitta per tutti. Come dicevo: non è questo il calcio che amo.
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