Canzoni per il commissario Ricciardi, al Real Orto Botanico grandi emozioni e sold out per lo spettacolo di Maurizio de Giovanni

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Maurizio de Giovanni

Caminito que el tiempo ha borrado
que juntos un día nos viste pasar,
he venido por última vez,
he venido a contarte mi mal.
(Gabino Coria Peñaloza e Juan de Dios Filiberto, 1926.)

Nella città dalle imprevedibili e continue sorprese, il flusso culturale universalmente posizionato sul podio è la via per la riconciliazione con noi stessi e con la nostra storia; le nostre colpe, anche quella della bellezza che spesso non è perdonata.

“Napoli capitale culturale”, un’affermazione presente sui libri, sulle labbra e nell’immaginario di tutti.

Certamente basata su fatti storici, artistici e oggettivi, la ritroviamo nel passato, nel presente e in un flusso perpetuo che gode di una rigenerata linfa da qualche anno.

È in questo fermento culturale partorito all’infinito dalla città che si inserisce a pieno titolo e al primo posto, l’indiretta ma efficace opera di valorizzazione culturale che arriva dai romanzi dello scrittore Maurizio de Giovanni.

Giovedì 2 agosto, in un palcoscenico dedicato alla natura, si è tenuto lo spettacolo Canzoni per il commissario Ricciardi.

Con una regia sartoriale di Annamaria Russo, non un reading, non un concerto, ma tutti e due. A cura e con Maurizio de Giovanni, la voce di Marianita Carfora e la musica di Giacinto Piracci e Zac Alderman, l’evento che ha fermato il tempo per poco più di un’ora, riportandolo nel passato. Un passato profondamente presente nel nostro orgoglio, nello spirito identitario, nella cultura che ogni giorno ci rende ciò che siamo: napoletani.

Napoli, per antonomasia città del teatro e della canzone, della letteratura e dell’arte, a partire dalla sua matrice greca fino ai giorni nostri, come nell’antichità non concepisce la poesia, la letteratura senza accompagnamento musicale. È così che è nato uno spettacolo fatto di scena, musica e poesia nella sua accezione più ampia, in cui sono state percorse le storie minime dei romanzi del commissario Ricciardi, e che rappresentano il cosiddetto “ciclo delle canzoni”. Quelle canzoni che hanno segnato i momenti principali della vita dei personaggi e non solo. Canzoni che hanno cucito insieme le passioni, la rabbia, il dolore, la frustrazione, i veri protagonisti dello spettacolo.

Canzoni per il commissario Ricciardi, quando la musica cuce le passioni

I primi a salutare il pubblico sul palco e in punta di piedi, sono stati Giacinto Piracci alla chitarra e Zac Alderman alla fisarmonica. La loro musica non doveva prevalere, ma cullare le parole. Sono state le note del brano Caminito (Gabino Coria Peñaloza e Juan de Dios Filiberto, 1926), caro allo scrittore e presente nel romanzo Rondini d’inverno uscito nel 2017, a stregare da subito il pubblico in un incantesimo durato per tutto il tempo. Caminito è un tango, accompagnato da un testo che racconta una storia d’amore triste: un uomo vede la donna amata andarsene via percorrendo una stradina. Da quel momento, la donna non farà più ritorno.

Maurizio de Giovanni e Marianita Carfora, meraviglia nel canto e nella recitazione, i soli protagonisti di un palco dove la scenografia era invisibile, ma dentro agli spettatori che hanno spalancato occhi e cuore al romanzo Anime di vetro, il primo della lettura recitata da entrambi, attraverso un ritmo di musica e storia trascinato dall’andamento delle emozioni.

«Farò a meno di te.

Sarà necessario, e ci riuscirò. Mi sto già abituando nelle giornate in apparenza normali che devono scorrere tranquille perché nessuno immagini che siano quelle della mia nuova vita.

Farò a meno di te e me ne dispiace, perché era il sogno di un futuro diverso e brillante, pieno di divertimento e allegria. Ma i sogni durano poco, si sa, e anche il più bello cede il passo alla mattina.

Farò a meno di te. E del resto, forse, l’ho saputo fin dall’inizio che non ci sarebbe mai stato permesso. Ma era bello immaginarlo, quando sentivo le tue mani sapienti e tremanti sulla mia pelle, quando ti sentivo sussurrare le tue illusioni dolcissime.

Allora dimenticavo che sarebbe stato impossibile. Allora ascoltavo come si ascolta una favola, e si crede nella storia che tutti, ma proprio tutti, vivranno felici e contenti.

Mi piaceva convincermi, e fingere che avremmo vissuto alla luce del sole. Che gli sguardi della gente non sarebbero stati maligni e malevoli, e che tutto sommato, alla fine, avremmo avuto anche noi la nostra occasione

Un romanzo in cui c’è la morte nell’anima di Luigi Alfredo Ricciardi. Imprigionato nel guscio della solitudine più completa, che non permette a nessuno di intaccare. La meraviglia di una storia in cui le anime di ciascuno si rivelano fatte di vetro: facili a rompersi in mille pezzi, lasciano trasparire la fiamma che affascina e talvolta danna, e occorre allora il sacrificio della rinuncia, che può apparire incomprensibile ed esporre alla vendetta. Un congegno narrativo misteriosamente delicato e struggente, vertiginoso e semplice, che spinge Ricciardi su strade rischiose. E lo costringe a fare i conti con i propri sentimenti, mentre le pagine sembrano assumere la voce di una delle più celebri canzoni partenopee, per carpirne il più nascosto segreto. Una evocazione musicale perfettamente rappresentata dal brano Palomma ‘e notte (Di Giacomo – Buongiovanni, 1906).

Una canzone totalmente metaforica, in cui il sacrificio d’ amore sembra l’unica strada per salvare l’altro. Perché amare a volte significa anche andare via, se si è il male per chi ci sta accanto.

E così, senza che il pubblico se ne accorgesse, la musica ha svelato che se esiste qualcosa di diverso dal sacrificio per amore ma altrettanto doloroso, questo qualcosa è il venir meno ad un giuramento d’amore.

Canzoni per il commissario Ricciardi, al Real Orto Botanico grandi emozioni e sold out per lo spettacolo di Maurizio de Giovanni

Quella raccontata nelle letture estratte da In fondo al tuo cuore.

Il romanzo delle passioni più tenaci e sconvolgenti, dove il tradimento sembra connesso in modo inestricabile alla gioia rara dell’amore e non una mera antitesi. Una storia che l’autore ha scelto di far

raccontare a quella che forse è la canzone napoletana tra le più belle e struggenti: Passione (Libero Bovio, Ernesto Tagliaferri, Nicola Valente, 1934).

«Non si manca ai giuramenti, Rosine’.

E quella notte te la ricordi? Io credevo di sapere tutto. Il fratello di mio padre mi ci aveva portato, là sopra, in quel posto dove ti insegnano. E invece non sapevo niente. Le tue mani, le mie mani, la pelle. Con la luna che entrava dalla finestra, la luna che ci aveva fatto da madrina, la stessa luna.

Mi desti la vita, sorridendo sempre pure nel dolore, la vita, le lacrime della gioia. E pure io piansi, Rosine’. Peppino il Lupo, che a venticinque anni comandava il quartiere; Peppino il lupo, l’uomo del rispetto e del terrore; Peppino il Lupo pianse, quella notte, nel cuscino, mentre tu dormivi abbracciata e felice, con il mezzo sorriso in faccia della donna che eri diventata. Mentre io seguivo la paura del futuro. Quando uno è troppo felice piange, Rosine’. Ora che te ne sei andata, ora che hai mancato al giuramento, te lo posso dire.

A che serve l’amore, Rosine’? Me lo dici a che serve? Perché essere felice, se poi devi essere disperato? Quanto vale un anno, un misero anno di luce, se poi devi stare al buio per il resto della vita?

Te lo ricordi quando me lo dicesti, Rosine’? Ti ricordi quando era passato dal giorno della chiesa del drago con la testa di donna e del sole che ti brillava in viso dalla notte della luna e delle lacrime di felicità? Due mesi erano passati. Due mesi giusti.

E una sera, al ritorno dalla fatica, che non mi reggevo in piedi da quanto ero stanco, mi hai preso la mano e me l’hai messa sulla pancia. E poi mi hai detto: a questo serve, l’amore. Io guardai il paradiso in faccia. E mi sentivo il cuore nelle orecchie, e tumtumtum come la notte vicino al mare a quattordici anni, e come davanti alla chiesa. Mai più lo sentirò il cuore. Il sangue, quello sì

E come in una parabola discendente, dopo tradimenti, giuramenti a cui si è venuti meno, il pubblico è stato accompagnato verso il sentimento della perdita.

Serenata senza nome è il romanzo della perdita.

Una sentimento accompagnato dal brano più struggente della canzone napoletana: Voce ‘e notte, voce di un amore disperato che racconta tutto ‘o turmiento ‘e nu’luntano ammore, tutto ll’ammore ‘e nu’ turmiento antico (Enzo Nicolardi, Ernesto De Curtis, 1905).

«Vi sarà sembrata strana la mia richiesta, commissa’.

Una passeggiata in un momento simile. Ma se sto per perdere la libertà, ho bisogno di andare in un posto. Se no potrei credere che libero non solo stato mai. E poi vi volevo spiegare una cosa. No, forse non la volevo spiegare a voi, ma a Dio. O a me stesso. O a Cettina. O a chissà chi.

Volevo spiegare la storia della serenata senza nome.

Io sono partito commissa’, ma non me ne sono andato mai. Partire e andarsene sono due cose distinte e separate, due idee diverse. Io ci ho messo un anno per capirlo, in quel luogo dove credevo di trovare certe cose e invece ne ho trovate altre; magari perché le cose che pensavo io non ho saputo cercarle bene, o perché non c’erano

La disperazione per la perdita è una caratteristica latente che permea ogni romanzo di Maurizio de Giovanni a prescindere dal tema principale, e a volte per il troppo dolore, per gelosia, si è disposti a tutto. Come accade in Rondini d’inverno, accompagnata dal bellissimo brano Rundinella (Rocco Galdieri, Gaetano Spagnolo, 1918).

«La colpa è dei sogni, brigadie’. Dell’esistenza finta che conduciamo nel segreto delle notti infinite. Dell’esistenza immaginaria che trasforma i momenti quotidiani in un peso insopportabile, e così fai quello che mai avresti pensato. Poi non ti resta che nascondere quanto è successo, sperando che nessuno arrivi a capirlo, e che il sogno diventi realtà. È il sogno il vero colpevole, brigadie’.

Poi, all’improvviso, leggi negli occhi di qualcuno quello che hai sempre temuto: la scintilla della comprensione.

Dio quanto mi dispiace.

È il momento più terribile, sapete? Quando ti rendi conto da un gesto, da una parola, che c’è chi ha capito.

E il sogno, che fino a un attimo prima scintillava solido e possibile, comincia a sfaldarsi, a dissolversi nel nulla.

Da quell’istante pensi solo a proteggerlo. A cancellare quella scintilla di comprensione. Perché, ti dici, se la elimino ce la posso fare. Ce la posso fare ancora.

Per questo ho premuto il grilletto, brigadie’. Mi dovevo difendere. Dovevo difendere quel sogno.

Lottavo per la vita che avevo coltivato notte dopo notte, per il sogno che avevo costruito momento dopo momento e che ormai credevo di aver realizzato. Non solo sulla scena. Non solo in una canzone. Non solo per finzione

Forse per la prima volta i lettori hanno potuto vivere insieme e con l’autore, sulla propria pelle, almeno una minima parte di quello che lui prova ogni volta che scrive di passioni. In quell’angolo di meraviglioso verde c’era il potere delle parole, l’emozione della musica, la forza dei sentimenti.

Una data unica che non prevede repliche.

Noi speriamo che ce ne siano tantissime, perché una cosa è raccontarlo, altro è vederlo.

Canzoni per il commissario Ricciardi, al Real Orto Botanico grandi emozioni e sold out per lo spettacolo di Maurizio de Giovanni