Cara Chinyery,
vorrei raccontarti la mia costernazione e la vergogna che provo per il tuo dolore di cui non posso non sentirmi responsabile. Nessuno lo può, nessuno può fare finta di niente e voltare altrove lo sguardo perplesso.
Ti scrivo per dirti quello che soffro, mentre il tuo dolore si abbandona alla disperazione e al lamento di un canto africano. Ti scrivo della mia perplessità dinanzi alla tua tragedia, mentre tu trovi il coraggio di lasciar vivere ancora il tuo Emmanuel donandone gli organi. Ti scrivo, e tu mai leggerai, della rabbia che provo di fronte all’ignoranza di chi, nel mio popolo, ha tradito il valore più grande che può tenerci saldi al bene della terra: l’amore reciproco. Ti scrivo, mentre tu aggiungi questo nuovo dolore, quest’ennesima morte alla memoria della tua giovane vita.
Tu sai che cosa è il dolore, tu sai che cosa è la dignità, tu sai che cosa resta nel cuore quando il vuoto soffoca ogni speranza.
Non è morto un migrante, è morto Emmanuel Chidi Nambdi, tuo marito.
Voglio precisare, è stato “fatto” morto perché non è per morire che ha insieme a te percorso una lunga strada disseminata di violenza e terrore.
Avete visto morire per mano di Boko Haram i vostri genitori, ma siete stati forti. Avete visto morire anche vostra figlia per la stessa mano sacrilega e profana, ma siete stati forti. Avete intrapreso un lungo viaggio pieno di sacrifici e attese per seguire la speranza di dare un futuro migliore alle vostre esistenze e a quella della creatura che portavi nel grembo, ma l’hai persa. Avete perso la vostra creatura, ma non la speranza, e siete stati forti. Tanto forti da arrivare infine fin qui e fermarvi, ironia della sorte, a Fermo. Avete ricominciato a sorridere e a guardare avanti, ma a Fermo di nuovo vi siete fermati.
“Scimmia”, ti hanno detto. Quale uomo non avrebbe difeso la sua compagna? Nessuno che l’amasse davvero e sentisse ancora una volta nascere dentro sé la necessità di proteggerla. Questo è troppo. Non solo troppo doloroso e assurdo, ma troppo meschino e vile fermarvi a Fermo mentre davanti la vita scorreva veloce come in un film da rivedere ancora e che ora Emmanuel non vedrà mai più.
Emmanuel muore. Emmanuel paga per il diritto di essere se stesso, libero insieme a te.
Si perde di vista l’essenziale che, questa volta, non è invisibile agli occhi. Con Emmanuel muore la speranza. Non solo la tua, cara Chiyery, ma la nostra di essere liberi dai pregiudizi invece che servi dell’ignoranza.
C’è una cosa che fa tanto male, ed è che si poteva prevedere che prima o dopo sarebbe andata a finire così perché ci sono giochi di potere che costruiscono i pregiudizi e somministrano l’odio insegnandolo e diffondendolo. Non dimentico come Calderoli appellò con disprezzo “orango” la ministra Cecile Kyenge tra le risate e i sorrisi di tutti, a prescindere dal gruppo politico. Non dimentico l’accusa di “ladri di lavoro” che vi tormenta mentre svolgete lavori che molti non vogliono fare più.
La tua risposta, Chinyery, è stata invece di quelle la cui forza è più potente di un pugno nello stomaco e di un’offesa urlata a squarciagola. Ci hai donato gli organi del tuo amore, Emmanuel in un gesto di civiltà e pace di cui pochi sono capaci, soprattutto dinanzi all’oltraggio gravissimo subito da te personalmente e al dolore dell’assassinio di Emmanuel.
Ci saranno persone salvate dalla morte del giovane Emmanuel, perché la vita, come la morte non ha colore o razza o fede o credo politico. La vita come la morte ha lo stesso ritmo e non bada ai pregiudizi e alle apparenze. Gli organi di Emmanuel non andranno persi e ridoneranno speranza a chi speranza stava perdendo, a prescindere dalla nazionalità dal colore e da tutto il resto.
Il tuo coraggio e la tua forza nonostante tu abbia visto sparire la bellezza del tuo amore per mano ingiusta e violenta, diventa potere nel coraggio di non tirarsi indietro e nella capacità di continuare a donare, anche a chi, forse (speriamo di no), non merita tanto amore.
Solo chi ha tanto sofferto è capace di tale amore.
Ti scrivo, allora, per dirti grazie. Grazie per non averci esclusi, grazie per il potere del bene che ha guidato la tua scelta.
Perdono, ti chiedo perdono per quelli che non sono in grado di comprendere questo amore e questo dolore e questo bisogno di pace e di comunità.
Ti scrivo, ma questo non fa di me una persona migliore né rende il tuo sguardo più limpido e sereno. Mi inchino a te e ti chiedo perdono.
di Loredana De Vita