A casa dei disabili. Ecco come vivono senza l’assistenza materiale sospesa dal Comune (VIDEO)

La storia di Margherita e Emanuele, disabili dalla nascita, che da quando è stata sospesa l'assistenza a domicilio hanno perso anche quel poco di dignità che avevano

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Margherita ha 50 anni, e da quando ha 7 mesi è costretta a letto a causa di un’encefalite che non le permette di alzarsi, di lavarsi, di parlare. Tutte le mattine Margherita aspetta – aspettava – i lavoratori delle cooperative che forniscono assistenza materiale a domicilio per potersi alzare, fare colazione, svolgere le normali operazioni di pulizia quotidiana, perché per alzarla dal letto bisogna prenderla in braccio almeno in due, e sua madre che ha 80 anni non sempre riesce a farcela da sola. Ma da venerdì scorso, da quando cioè gli oltre 150 dipendenti delle cooperative di assistenza hanno ricevuto la lettera di licenziamento, Margherita aspetta invano.

Dopo gli scioperi delle scorse settimane che hanno visto i lavoratori dell’assistenza a domicilio e scolastica scendere in piazza a manifestare prima davanti a Palazzo San Giacomo e poi al Duomo di Napoli per chiedere l’intercessione del Cardinale Sepe, oggi sono i disabili e le loro famiglie a parlare, raccontandoci le loro difficoltà. Le telecamere di Road Tv Italia li hanno intervistati per voi.

Assistenza sospesa per 2mila 200 famiglie.

Margherita è solo una dei tanti disabili che usufruiscono di questa assistenza domiciliare gratuita: un servizio di un’ora, al massimo due, che permette a circa 2mila 200 famiglie di avere un aiuto nella gestione dei loro familiari non autosufficienti. Tra questi familiari c’è Lucia, madre di Emanuele, tetraplegico dalla nascita. Anche lui usufruiva dell’assistenza domiciliare, oggi sospesa. Lucia ha altri due figli, un ragazzo di 13 e una bambina di 4 anni. Anche per lei non è facile prendersi cura di Emanuele da sola. “E’ una vergogna. A fare le spese sono in ogni caso sempre loro, i bambini e tutti coloro che non hanno voce” dice.

Il debito con le banche e i fondi di non autosufficienza che la Regione non sblocca.

Il problema è che il Comune non salda il suo debito con le banche che in questi mesi hanno garantito gli stipendi ai lavoratori. Insomma, i soldi non ci sono, e le cooperative che fornivano assistenza in tutto il territorio napoletano hanno licenziato in tronco tutti i loro dipendenti con contratto a tempo indeterminato. “Per non parlare dei lavoratori a progetto, dei ragazzi che fanno le sostituzioni e di tutti quelli non assunti regolarmente”, aggiunge Susy, una ex lavoratrice, da venerdì ufficialmente disoccupata, “che sono stati i primi a ricevere il benservito”. In questi giorni di scioperi e proteste i lavoratori hanno chiesto l’intervento della Regione Campania per sbloccare i fondi di non autosufficienza che permetterebbero alle cooperative di saldare il debito con le banche e riassumere i lavoratori. Ma da santa Lucia ancora nessuna risposta. Dopo il colloquio ottenuto venerdì scorso con l’assessore al Welfare Roberta Gaeta, questa mattina ci sarà un presidio davanti al Consiglio Regionale della Campania al Centro Direzionale per chiedere l’intercessione del presidente Caldoro, mentre per martedì è attesa una risposta da parte del Comune.

Dignità ferita.

Ma, prima che la situazione si sblocchi, potrebbero trascorrere mesi, ipotizzano i lavoratori. Mesi in cui a ragazzi come Margherita e Emanuele verrebbe tolto anche quel poco di normalità e dignità a cui una persona disabile ha il diritto di aspirare. “Può sembrare poco o niente, un’ora di assistenza al giorno, ma in realtà per le famiglie è tanto dice Carmela, altra lavoratrice dell’assistenza materiale. “Anche un paio d’ore di socializzazione, oppure il servizio di accompagnamento a terapia per quelle famiglie che non hanno il tempo materiale di portare i figli in palestra o in piscina, per loro vuol dire tanto”. E poi c’è il lato umano, quello dell’affetto, dell’amicizia e della stima che si viene a creare dopo tanti anni di consuetudini. “Per i ragazzi disabili è importante anche il rapporto che hanno con noi dell’assistenza materiale, così come è importante per noi che facciamo questo lavoro”. Un lavoro che “si può fare solo per passione”, ma che è anche il più gratificante di tutti, per chi lo fa e per chi lo riceve. Parlano di passione, Susy e Carmela, e di affetto, di legami che si costruiscono negli anni con i loro assistiti. E alla preoccupazione di perdere il posto di lavoro si aggiunge anche il dolore per la sorte di queste persone che ormai sono come “persone di famiglia”. “Sospendere questo servizio significa che l’umanità sta davvero finendo” dice ancora Lucia. “Dove andremo a finire?” si domanda. Non si sa. Per ora i lavoratori manifestano, e attendono. Così come i loro assistiti disabili, imprigionati in casa, ne aspettano ansiosamente il ritorno.