Ci sono notizie – solo apparentemente di secondo piano o residuali – che occupano solo poche righe sui quotidiani e che aprono invece uno squarcio sulla cifra della realtà contemporanea di una metropoli del 21° secolo. E’ il caso della vicenda di Darim, 32enne del Punjab, un clochard morto per un malore la notte del 31 Dicembre alle spalle del palco dove si svolgeva il concerto di Capodanno in piazza del Plebiscito a Napoli. Un luogo centralissimo, eppure nascosto e abbandonato dove – essendo di proprietà della Chiesa e quindi non soggetto ai vincoli statali – alcuni homeless si rifugiano per non essere sgombrati.
Una vicenda che incarna plasticamente nell’oggi la storia evangelica del povero Lazzaro che giace, soffre e muore nell’indifferenza generale sulla soglia del luogo dove un ricco banchetta e festeggia lautamente insieme ai suoi amici. E’letteralmente quanto è successo al povero Darim.
Ne parliamo con Benedetta Ferone, Responsabile servizi ai senza fissa dimora della Comunità di Sant’ Egidio di Napoli.
Benedetta, anzitutto quanti sono le persone che vivono per strada a Napoli?
“Gli ultimi dati ISTAT disponibili, relativi a dicembre 2022 riferiscono – da censimento di senza fissa dimora iscritti all’anagrafe – di 96.197 senza dimora in Italia, di cui il 7% a Napoli. La Comunità di Sant’Egidio, in linea con i dati del Comune di Napoli, in città ne stima all’incirca 2000. Un numero comunque elevato”.
Come legge dal suo osservatorio sul campo, la storia di Darim?
“E’una vicenda terribile che non può passare sottaciuta. Perché esprime nella sua tragicità, la quotidiana condizione di precarietà e degrado di tanti che vivono per strada. E’ una vita pericolosa per tanti motivi: per il rischio di aggressioni, purtroppo sempre più frequenti; per il gelo che non dà tregua nelle notti e da cui cerchi di difenderti magari con una bottiglia di vino che ti dà una fugace sensazione di calore (che invece produce danni irreparabili all’organismo); per le condizioni igieniche precarie, e per i malori che non ti danno scampo, perché a volte essendo gli homeless senza documenti o permesso di soggiorno, non possono neanche manifestare per paura. La stessa paura che suggeriva a Darim di vivere isolato. Insomma: chi vive in strada rischia la vita e muore prima”
Mentre parliamo con Benedetta, a rendere ancora più inquietanti le sue parole, giunge la notizia di un altro clochard, 66enne di nazionalità italiana, morto a Piazza Carità per asfissia nell’incendio di un garage divenuto da tempo il suo rifugio dal freddo.
Due senza fissa dimora morti nei primi 7 giorni dell’anno. Un bilancio agghiacciante e intollerabile. Cosa si può fare?
“Intanto, grazie alle segnalazioni di privati cittadini – la vera “cittadinanza attiva” – è possibile intervenire in tempo e salvare la vita di tante persone in difficoltà per strada. E’ la nostra esperienza, anche di rete con tutti i singoli volontari, i gruppi, le associazioni, le parrocchie che si occupano dei clochards e con cui siamo in rete; compagni di strada come la C.R.I. e tanti altri con cui ci organizziamo per monitorare ed assicurare una presenza quotidiana a sostegno di chi vive per strada. Chiunque infatti può portare una coperta e una bevanda calda a chi soffre in strada: questo più di una volta ha salvato delle vite. E chi salva una vita – come recita il Talmud – salva il mondo intero.
C’è poi un secondo livello. C’è bisogno di risposte di protezione e di accoglienza diversificate: come accoglienza temporanee in situazioni di freddo o caldo estremi, accoglienze a bassa soglia per chi è senza documenti e con l’unica regola della convivenza pacifica; accoglienze per donne e per malati in dimissioni dagli ospedali. Ci sono anche delle nuove esperienze che si affacciano con buoni risultati, come le convivenze, o i condomini solidali. Dipende molto dalle singole situazioni.
Insomma possibili soluzioni esistono. Ma sembra che non ci sia una risposta univoca e omogenea per tutti…
“Contrariamente a quanto afferma una corrente narrazione, tanto superficiale quanto diffusa, la condizione di vita dei clochards – come del resto quella di ognuno – varia da persona a persona. La provenienza, le storie personali, il vissuto di ognuno è un “unicum”, e per questo bisogna cercare soluzioni ad personam. Anche per quelle che sembrano disperate.
Riccardo ad esempio, uomo di famiglia benestante ma poi in condizioni di dipendenza prima da droghe e poi dall’alcol, aveva trovato tante porte chiuse al suo flebile desiderio di una nuova vita.
Una situazione apparentemente senza uscita. Parlandone insieme abbiamo compreso che se non ce ne fossimo presi carico noi non avrebbe trovato altre opportunità, e così l’abbiamo accolto in una nostra convivenza al Centro Storico. Non sono mancate le difficoltà legate alla nuova situazione di condivisione con altre persone, di astinenza dall’alcol e più in generale di difficoltà ad adattarsi a un nuovo ambiente; ma alla fine, messo alle strette da un’amicizia ferma e fedele, ha accettato di farsi curare al SERT di riferimento. Ora da circa un anno non beve più e continua a vivere in una convivenza gestita da Sant’Egidio. Da qualche settimana ha iniziato anche a lavorare e progetta di andare a vivere da solo in un piccolo appartamento. Il giorno del suo 60esimo compleanno, durante i festeggiamenti ci ha detto:”E’ il giorno più bello della mia vita, perché finalmente ho trovato il mio posto nella vita” Bello, no?”
Un messaggio di speranza, quindi.
“Certamente. La verità che scopriamo ogni giorno di più è che nessuna vita è mai persa in modo irreparabile, e che bisogna tenere sempre la porta del cuore aperta a un cambiamento, a un ravvedimento dei nostri amici che vivono in strada. Nell’amicizia “a 360 gradi” tutto è possibile.
Ad esempio sono oltre 100 le persone che siamo riusciti a togliere dalla strada nell’ultimo anno a Napoli, grazie anche al rapporto con le loro famiglie e con tutti i care-givers – anche occasionali o temporanei – con cui siamo entrati in contatto.
Un ‘altra buona notizia è che nei prossimi giorni verrà inaugurata al centro storico la Casa dell’Amicizia della Comunità di Sant’Egidio con le docce, la lavanderia con lavatrici e asciugatrici donate da Papa Francesco, il centro ascolto e di assistenza legale e ambulatori medici”
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