Cellulari, lo usiamo ogni giorno di continuo, ne abbiamo più di uno, i nostri figli lo possiedono già dalla tenera età usato come sedativo. A volte ne abbiamo un paio sepolti nei cassetti dimenticati e non più al passo con i tempi e con le nostre necessità. Ma questo numero di smartphone è un tesoro sepolto in fondo ai cassetti di noi europei che, se sfruttato, potrebbe far risparmiare all’Unione Europea oltre 1 miliardo di euro l’anno, addirittura creare fino a 45 mila nuovi posti di lavoro ed evitare l’immissione in atmosfera di 2 milioni di tonnellate di Co2 l’anno. Quel tesoro sono i cellullari ibernati, telefoni non più in uso ma che non buttiamo.
Lo studio, con un nome infinitamente lungo, “Identifying the impact of the circular economy on the fast-moving consumer goods industry Opportunities and challenges for business, workers and consumers : mobile phones as an example” dell’Ue, ci illustra i grandi benefici che potremmo avere se solo si creasse un circuito economico virtuoso, in grado di rimettere in circolo quei cellulari cosidetti ibernati.
Si stima che oggi nell’Unione siano almeno 700 milioni i dispositivi sepolti nei nostri comodini, nei nostri cassetti di casa e di lavoro.
Se tutti questi venissero raccolti e riciclati, si potrebbero recuperare circa 14.920 tonnellate tra oro, argento, rame, palladio, cobalto e litio, un pacchetto del valore di oltre un miliardo di euro. Tutte materie prime che oggi la Ue è costretta a importare, rimanendo vittima delle fluttuazioni di mercato, dazi doganali e pressioni politiche; per tutti l’esempio del ricatto cinese grazie al monopolio sulle terre rare.
Per i ricercatori, la chiave è attivare un meccanismo circolare nella linea del valore dei cellulari. Oggi quella catena è una linea retta che parte dall’estrazione di materie prime e termina con lo smaltimento (raro), l’esportazione (1 su 5) o il letargo (la maggior parte) dei telefoni cellulari. Un ciclo produttivo sempre più soggetto a vincoli ambientali e di risorse, ma che contemporaneamente è messo sotto una continua pressione perché deve produrre modelli sempre più evoluti a prezzi competitivi, con tutta la serie di negativi impatti ambientali che questo comporta.
Si deve chiudere, attraverso il riutilizzo dei cellulari nel mercato dell’usato, la facile ed economica riparazione delle parti non funzionanti, il recupero delle parti ormai inutilizzabili e la re-immissione nel circolo produttivo delle materie in esse contenute. La sfida è in pratica reindirizzare i telefoni cellulari, e i loro materiali, all’interno delle stesse catene di valore che li hanno prodotti. Soprattutto se si considera che il mercato dei cellulari in Europa è ormai saturo.
A livello globale, il mercato della telefonia mobile è cresciuto negli ultimi anni, ma solo grazie alla domanda dei Paesi emergenti. Tra il 2012 e il 2015, i proprietari di smartphone nel mondo sono raddoppiati, avvicinandosi ai due miliardi. Ma in Europa il numero di intestatari di un numero di telefono cellulare già nel 2013 aveva superato quello degli abitanti.
Il mercato europeo sembrerebbe ormai saturo; infatti i consumatori tendono infatti a mantenere i dispositivi più a lungo. Nei cinque Paesi più popolosi dell’Ue la vita media di un cellulare è aumentata dai 18 mesi del 2013 ai 21,6 del 2016. Tanto che le vendite sono in continua diminuzione dal 2007: dagli oltre 300 milioni venduti nel 2007 ai 182 milioni del 2017.
Contemporaneamente ha avuto un boom il mercato dell’usato nato agli inizi del 2000 nei paesi più poveri. Oggi anche in l’Europa sempre più consumatori si rivolgono agli smartphone ricondizionati, una tendenza alimentata dalla rapida successione di nuovi modelli. Nel 2017, per esempio, in Francia gli smartphone ricondizionati rappresentavano il 10% del volume complessivo delle vendite, circa 2,14 milioni sui 20,2 milioni venduti. Tuttavia il 70% dei telefoni cellulari raccolti nel mondo sviluppato viene rivenduto nei paesi in via di sviluppo.
Si tratta comunque di un mercato minoritario, considerando che in Europa si recupera solo il 12% dei telefonini. Ad alimentarlo sono soprattutto smartphone ritirati dalle società telefoniche, le quali hanno avviato campagne che permettono ai clienti di cambiare cellulare ogni anno, o lo danno in leasing. Proposte commerciali che, se da una parte favoriscono il riuso, dall’altra mantengono alta la domanda di nuovi modelli, alimentando il circolo vizioso.
Una strada che oggi però non viene percorsa a causa dell’inerzia delle istituzioni politico-amministrative, dei preconcetti dei singoli cittadini e dai calcoli miopi delle industrie. Le prime infatti non hanno mai elaborato un sistema istituzionalizzato di raccolta dei cellulari, considerati a livello legale come rifiuto, con direttive e leggi ad hoc. I secondi preferiscono tenere il vecchio telefono in un cassetto, poiché potrebbe essere sempre utile in caso di emergenza e perché potrebbe contenere dati sensibili che non sappiamo che fine fanno. Infine le imprese perché stimano che recuperare e riutilizzare sia ancora economicamente non vantaggioso.
Oggi infatti il valore intrinseco di un telefono cellulare usato del peso di 90 grammi è stimato dalle Nazioni Unite in soli 2 euro, mentre il prezzo medio di vendita di uno smartphone usato era di 118 euro nel 2017. Ma quel conteggio è basato sui bassi numeri di oggi e sulle attuali pratiche di riciclaggio, che si riducono alla triturazione e alla fusione di gran parte delle componenti, rinunciando alle parti più “ricche”, perché costa stroppo estrarle.
Per i ricercatori, se raccolti in volumi sufficienti, i telefoni cellulari possono invece rappresentare una fonte significativa di materie prime e valore economico. Se per esempio si fossero recuperati i 435 kilotoni di telefoni cellulari buttati via a livello globale nel 2016, si sarebbero riacquistate materie prime per 9,4 miliardi di euro.
Del resto si deve pensare a ogni singolo cellulare come a un insieme di tante micro miniere di materie preziose, visto che ognuno può contenere fino a 75 diversi elementi, a seconda dei modelli. Tutti però hanno oro, argento, rame e metalli del gruppo del platino. Ci sono poi quegli elementi definiti critici dalla Commissione europea come il cobalto, l’indio o le terre rare. Un rapporto della United States Environmental Protection Agency (US EPA) lo ha detto chiaro: “una tonnellata di circuiti stampati può contenere da 40 a 800 volte la quantità di oro e da 30 a 40 volte la quantità di rame estratto da una tonnellata di minerale negli Stati Uniti”. Tutti tesori che restano chiusi nei nostri cassetti
Fonte dei dati Businessinsider
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