di Vincenzo Vacca.
Siamo ancora in emergenza coronavirus e nessuno può fare fondate previsioni per i tempi necessari per superare almeno la fase più acuta. Dopo la quale, in attesa di un vaccino, non ci sarà una ripresa della vita individuale e collettiva uguale a quella precedente alla pandemia che stiamo affrontando. È indubbio che ci sono una serie di drammatiche criticità che si sta provando a superare, tenuto conto dell’aspetto inedito dell’impatto sanitario che questo virus sconosciuto ha originato, creando degli effetti dirompenti sulla economia e sulla vita privata di ciascuno di noi. Ma quello che vorrei evidenziare sono le modalità istituzionali con le quali si sta procedendo, indipendentemente da un parere positivo o negativo a carico delle Autorità centrali. Come noto, con la riforma del titolo V della Costituzione, la sanità rientra tra le competenze delle Regioni. Quella riforma veniva approvata sulla scia di un senso comune secondo il quale il federalismo sarebbe stata la risposta giusta ai problemi politici e istituzionali che il Paese aveva e, in buona misura, ha ancora adesso. La parola magica era “federalismo“. Una vera e propria ideologia che aveva catturato, pur in misura diversa tra le forze politiche, la quasi totalità dei partiti e della società civile ovvero l’illusione che, demandando alle Regioni delle potestà legislative anche rilevanti, si sarebbero assunte decisioni efficaci, se non addirittura risolutive. Inoltre, qualcuno sosteneva che sarebbe diminuita la corruzione (sic).
L’ emergenza che stiamo vivendo smentisce clamorosamente, ma questa rappresenta solo il colpo di grazia a un regionalismo così esasperato, la risposta federalista ai problemi del Paese. Basti pensare che in questo difficilissimo momento agiscono mille potentati, senza che nessuno renda conto di quanto viene deciso e/o non deciso. Siamo arrivati a una situazione nella quale, non solo le Regioni procedono autonomamente (generando una micidiale confusione nei confronti dei cittadini) in tema di provvedimenti finalizzati a contenere la diffusione del virus, ma addirittura diversi Comuni emettono ordinanze con contenuti diversi sia da quanto stabilito dalle Regioni di appartenenza, sia da quanto previsto dallo Stato centrale. Si rischia una vera e propria babele istituzionale che certamente non aiuta raggiungere lo scopo finale: ridurre ed eliminare definitivamente il contagio e diminuire quanto più possibile gli effetti drammaticamente negativi sulla economia. Ecco perché, ritengo, è il tempo di fare una completa inversione di tendenza in ordine al menzionato federalismo. Prendere atto del suo fallimento e ripensare, facendo passi indietro, le potestà legislative in capo alle Regioni. Le quali devono tornare tra le competenze dello Stato centrale. Occorre una nuova unità nazionale di intenti e di provvedimenti univoci su tutto il territorio nazionale. Non sarà facile. Ci saranno fortissime resistenze da parte di ceti politici locali, ma questa è la strada maestra per affrontare al meglio gli attuali problemi e quelli che verranno. Occorreranno tempestività e chiarezza. Ogni questione di una certa caratura va sottratta alla faciloneria, pertanto, occorre sviluppare nel dibattito pubblico e politico una analisi delle cause di fondo che hanno determinato le menzionate criticità.