domenica, Settembre 8, 2024
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“Come stelle cadenti”, l’ultimo libro di Monica Aquino racconta la violenza e il dolore

Torna a far parlare di sé in campo editoriale una tematica ahimè sempre attuale quale quella della violenza contro le donne. E lo fa attraverso un racconto toccante ( tratto da una storia vera ): “Come stelle cadenti” di Monica Aquino edito da Edizioni Guida. Due donne, Marta e Assuntina, dai contesti sociali e destini totalmente differenti, ma legate da un aspetto in comune, il dolore. No, non un dolore fisico ( almeno non solo quello, per Assuntina nella fattispecie ), ma un dolore interiore, dell’anima, un vero e proprio dolore emotivo, seppur dettato da motivazioni completamente differenti. Il triste fenomeno della violenza contro le donne viene affrontato in questo libro con grande maestria, ricostruendo con una lucida analisi una storia che in un certo senso può essere vista come storia di speranza, di riscatto. Ebbene sì, la violenza contro le donne in realtà non è solo uno schiaffo, un’offesa o, in alcuni casi, un omicidio, ma è un vero e proprio ciclo con delle caratteristiche ben precise, e conoscere le fasi di questa sequenza può essere già un grande aiuto per la vittima, la mission del libro è proprio questa: aiutare chi si trova in un simile contesto a capire per poi trovare dei rimedi per uscirne. Non si trascura nessun dettaglio di questo triste corso, neanche quello che spesso viene sottovalutato della violenza assistita. Già, i figli, bambini che sono costretti a subire emotivamente le continue percosse di un padre padrone e gretto nei confronti della propria madre … purtroppo si vive ancora nella convinzione errata che i bambini non vedano o non capiscano realmente cosa accade sotto i loro occhi all’interno delle mura domestiche. Nulla di più sbagliato. I bambini vedono, sentono tutto e si comportano di conseguenza. Subiscono, anche se a volte non lo manifestano apertamente e si portano dentro i segni a volte apparentemente invisibili della violenza assistita. Ed è proprio il caso di Valentina ed Anthony, i figli di Assuntina e Nicola.

Un viaggio introspettivo di Marta, assistente sociale ed Io narrante della storia, attraverso la conoscenza di Assuntina: le due donne inizieranno ben presto a conoscersi, a capirsi, a completarsi l’una con l’altra, legandosi profondamente da reciproca stima ed amicizia che le unirà per sempre. Sì, mi sono commosso, e non mi vergogno nel sottolinearlo, leggendo ogni singola pagina di Come stelle cadenti, di questa triste storia di cui non sapevo nulla seppur vera, ho visto con gli occhi della fantasia la realtà di Cetra ( paese immaginario ),il suo contesto sociale, ho pianto per le sofferenze morali di Valentina ed Anthony, e mi sono calato nel profondo dell’animo di Assuntina, una donna che potrebbe sembrare un soggetto debole, incapace di reagire, ma che in realtà è stata molto più forte di ciò che l’apparenza può lasciar credere. Finchè morte non vi separi recita il parroco nella funzione religiosa del matrimonio, il coronamento d’amore per tanti, e forse ciò che credeva con gli occhi dell’incoscienza la donna, la cui unica colpa può essere stata esclusivamente quella di non aver creduto in se stessa, nella possibilità di rinascere dopo una denuncia.

L’autrice del libro, Monica Aquino, ha analizzato nel profondo lo stato d’animo del dolore, della violenza contro le donne, della stessa solidarietà ed amicizia tra donne, con una nettezza limpida, chiara, impeccabile. Classe 1965, assistente sociale di professione e scrittrice per passione, è stata fin da subito molto disponibile a concedere a me e i lettori di RoadTv Italia un’intervista:

Chi è Monica Aquino? Raccontati ai nostri lettori!

Monica Aquino è un’assistente sociale, specializzata in counseling umanistico integrato,particolarmente attiva nella promozione del benessere sociale e nella prevenzione della violenza di genere. Dopo la laurea in Scienze del Servizio sociale presso l’Università Federico II di Napoli, consegue un Master in Counseling, presso la scuola Europea di Counseling Aspic, sede di Caserta. Ha conseguito diversi corsi di formazione come operatrice di sportello antiviolenza ed ha collaborato con il centro antiviolenza “Terra Viva” di Qualiano. Oggi collabora con alcune associazioni sul territorio per la promozione della cultura e per il contrasto alla violenza di genere. Ha scritto alcuni racconti sempre sul tema della violenza ed ha scritto un romanzo edito da Guida Editori dal titolo “Come stelle cadenti” liberamente ispirato ad una drammatica vicenda di violenza domestica, realmente accaduta.

Quando nasce l’idea di scrivere “Come stelle cadenti”? E perchè questo titolo?

L’idea di scrivere questo romanzo nasce in seguito alla collaborazione con il centro antiviolenza Terra Viva. Questa esperienza, interrotta in seguito a problemi di salute, legati al covid, mi ha profondamente segnata. Le storie di queste donne mi sono rimaste ricamate sulla pelle: Il dolore, la paura, ma anche un profondo sentimento di dignità personale, sono gli elementi che maggiormente permeavano le loro vicende,taciute al mondo per vergogna o per timore della vittimizzazione secondaria. Con questo libro ho voluto dare voce a questo dolore; ho cercato di restituire dignità a chi non aveva altri strumenti di riscatto. Ho voluto illuminare quegli angoli bui, humus fertile della violenza, cercando di portare a conoscenza del lettore i delicati e complessi meccanismi della violenza familiare. Il titolo evoca una speranza. Le stelle cadenti sono associate, nell’immaginario collettivo, alla possibilità di esprimere un desiderio e, pertanto, le protagoniste di questo romanzo rappresentano l’emblema della speranza, La realizzazione del desiderio di poter risolvere, in tempi brevi, questo dramma sociale così ignobile e feroce affinché, altre donne, in futuro, non abbiano a patire lo stesso destino di Assuntina.

Marta e Assuntina, due donne all’apparenza diverse, due contesti sociali diversi, ma “unite” da un aspetto comune: il dolore. Il dolore quindi unifica le persone al di là delle differenze sociali?

Assuntina e Marta sono due donne profondamente diverse: provengono da ambienti sociali e culturali differenti, ma hanno in comune un profondo sentimento di fiducia e di umanità verso il prossimo. Si incontrano, si riconoscono, si rispecchiano l’una nel dolore dell’altra, perché se è vero che la vita di Assuntina è permeata dal dolore e dall’infelicità per un matrimonio sbagliato, quella di Marta è stata segnata da abbandoni precoci e da un lutto con il quale non ha mai fatto definitivamente i conti. Tra le de due donne nasce una relazione che va ben oltre il protocollo e le procedure. È una relazione al femminile dove il cuore prende il posto delle carte, degli orari, dei doveri d’ufficio perché Marta, l’assistente sociale, non può fare a meno di sentire che la vicenda di Assuntina la riguarda non solo come professionista, ma come donna. A prima vista l’atteggiamento di Assuntina può apparire rassegnato, ma la sua condizione, svelata man mano nel romanzo, è da ascrivere non tanto alla rassegnazione, quanto alla consapevolezza di avere pochi strumenti a disposizione per combattere, da sola, il fenomeno della violenza domestica. Troppo spesso le donne combattono questi drammi familiari e personali in totale solitudine, perché non denunciano i loro partner abusanti o perché, se denunciano, non vengono protette in modo adeguato. Ciò che leggiamo sui giornali, nella cronaca nera, è solo la punta dell’iceberg. C’è tutto un sommerso di relazioni tossiche e violente che non vengono censite, perché molti casi non vengono denunciati.

In un passo del libro Assuntina fa una differenza tra omicidio e femminicidio, sottolineando quasi che le differenze di genere spesso provengono da tutti noi, quasi inconsapevolmente …

Il testo, in modo provocatorio, mette in discussione il termine “femminicidio”, questo nuovo neologismo con il quale si indicano i delitti di donne per motivi sentimentali. In realtà questo termine è apparso per la prima volta in una relazione della sociologa statunitense Diana Russell che, nel 1992, insieme a Jill Radford, lo utilizzò per indicare l’uccisione di una donna commessa da un uomo per il fatto di essere una donna, evidenziandone la natura di fatto sociale. Secondo quanto formulato da Russell, il concetto di femminicidio si estende al di là della definizione giuridica di assassinio e include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l’esito, la conseguenza, di atteggiamenti o pratiche sociali misogine. Purtroppo, nel nostro ordinamento giuridico, questo termine non è mai stato assorbito, nemmeno nella riforma del 2019 nota come Codice Rosso, perdendo, in questo modo, a mio avviso, una grande occasione per impedire che il termine “femminicidio” possa trasformarsi nell’ ennesimo stereotipo marcato dall’ impronta patriarcale. Mi riferisco, nello specifico, ad alcune sentenze che hanno assolto o diminuito la pena ad assassini o stupratori, perché, non essendoci nel codice penale uno specifico reato di femminicidio, alcuni giudici hanno accolto le tesi degli imputati che si sono appellati alla presenza di “tempesta emozionale” (vedi il caso di Olga Matei) o al forte istinto sessuale che avrebbe indotto l’imputato a commettere il reato di stupro ovvero la durata del palpeggiamento ai danni di una studentessa da parte del bidello, come se la durata del palpeggiamento fosse un elemento di giudizio e non il fatto in sé.

Una delle protagoniste della storia è Marta, assistente sociale, un mestiere quasi demonizzato da molti … perchè secondo te? E nell’effettivo cosa può fare un assistente sociale per casi di violenza domestica?

Uno degli obiettivi del testo è quello di rendere più umanizzata la figura dell’assistente sociale, fortemente demonizzata in alcuni contesti sociali. I servizi territoriali, già a partire dall’entrata in vigore della legge 328 del 2000, svolgono un ruolo fondamentale sia nell’assistenza che nella prevenzione dei fatti di violenza familiare. Presso le Asl ed i comuni, sono attivi numerosi poli per la tutela ed il sostegno alle famiglie, con personale impegnato, attraverso competenze trasversali, alla cura al sostegno e all’orientamento delle famiglie in difficoltà. Una particolare attenzione è rivolta alle fasce fragili ovvero anziani e minori che sono, spesso, le vittime secondarie della violenza familiare e domestica.

La cultura è l’ancora di salvezza contro la violenza, un monito lanciato nel tuo libro e ripreso anche nel recente film di Paola Cortellesi … e poi: “… mi hanno detto che devo parlare per forza con voi, anche se siete femmina perché hanno messo voi qua al posto del Dott. Carmine. Io penso, invece, che le cose da uomini si devono parlare tra uomini … “ una frase che racchiude tutto il maschilismo di Nicola, il marito di Assuntina: l’idea del patriarcato fa fatica ancora ad estinguersi dalla società?

Uno dei motivi alla base del fenomeno della violenza è senz’altro il         problema culturale ed ha a che fare, in generale, con i rapporti di          potere e di forza tra il genere maschile e quello femminile. Al         processo di emancipazione femminile, già avviato alla fine dell’ottocento in tutta Europa, non è corrisposto un processo di          emancipazione maschile, generando effetti devastanti, tra i quali i          femminicidi. La cultura è uno strumento molto potente per     combattere questo orrendo fenomeno, ma, dobbiamo stabilire, prioritariamente, a quali modelli culturali vogliamo riferirci. Mi spiego meglio: per sovvertire l’ordine maschile di cui è impregnata la nostra cultura, dovremmo necessariamente eliminare quella violenza simbolica che viene veicolata, inconsapevolmente, attraverso i simboli culturali. Tutti noi nasciamo maschilisti, in Italia e nel mondo; in qualche posto di più, in qualche posto di meno, perché acquisiamo, alla nascita, delle categorie simboliche che sono alla base della discriminazione di genere. Queste categorie sono costituite da assenze ed omissioni, da svalutazioni e da imposizioni di stereotipi e di pregiudizi, che vengono tramandati da generazioni in generazioni nelle istituzioni, nelle nostre famiglie, nei rapporti con i nostri figli, negli ambienti di lavoro.        Inconsciamente, inconsapevolmente, reiterando i nostri         comportamenti, non facciamo altro che confermare quel patrimonio          simbolico che abbiamo ereditato e che, involontariamente,    trasmettiamo alle generazioni prossime. Nella nostra società c’è      una sovraestensione del maschile che oggi risulta essere la    categoria predefinita, il criterio fondamentale di lettura del          mondo. Dunque, la causa fondamentale della cattiva comprensione del          mondo. La nostra società è connotata da un’impronta fortemente maschilista: le donne non hanno mai trasmesso un’identità. Le stirpi, le dinastie, sono sempre state tramandate in linea maschile. Anche il cognome, il nome da dare ai nascituri e via discorrendo, vengono trasmessi in linea maschile. Le donne non posseggono identità all’interno della società e dunque non possono essere depositarie di un potere. L’unico modo per sovvertire questo ordine maschile è quello di restituire la libertà alla donna dal punto di vista culturale, un lavoro che bisogna fare partendo dal linguaggio. E’ necessario ripartire da una nuova semantica che          includa anche il mondo femminile. Non è possibile che, ancora oggi,il mondo delle professioni, come quelli del potere economico e politico, siano ad esclusivo appannaggio del modello maschile: questore, prefetto, giudice, magistrato, rettore, architetto, Presidente del Consiglio, Amministratore delegato ecc. Le parole,       afferma Paul Watzlawick, sono importanti, perché rievocano un’immagine. Un’ immagine che il nostro cervello conserva, preconfezionata, legata a quella parola. Se esprimiamo un termine al maschile, la nostra mente non può che restituirci un’immagine          maschile e questo è il punto! Anche Heidegger affermava che: “l’uomo riesce a pensare limitatamente alle parole di cui dispone” e che: “le parole non sono uno strumento del pensiero,      ma sono la condizione del pensiero”. Quindi, per combattere la violenza di genere, bisogna costruire nuovi modelli culturali maggiormente inclusivi del mondo femminile che riescano ad equiparare, o quantomeno a bilanciare, i rapporti di forza all’interno delle coppie. Un lavoro che bisogna fare sulle nuove generazioni, tanto maschili quanto femminili. L’obiettivo della parità di genere appare ancora molto lontano Secondo il GLOBAL GENDER GAP (struttura internazionale di monitoraggio del gap gender nei vari paesi), il gap gender si colmerà solo tra 137 anni. Attualmente in Italia il Parlamento italiano è composto solo per il 37% da donne, eppure le donne sono numericamente superiori all’uomo. Nel mondo del lavoro le donne sono fortemente penalizzate sia in termini occupazionali che in termini retributivi. Durante la pandemia, le persone rimaste a casa dal lavoro, sono state, per il      70%, donne, e sono rimaste a casa per sostenere i figli, e gli anziani. Il cammino è ancora tutto in salita.  
Cosa riserverà il futuro a Monica Aquino scrittrice?

Progetti futuri? Un nuovo romanzo già pronto nel cassetto in attesa di pubblicazione.

L’intervista si chiude qui. Ricordo che è possibile acquistare Come stelle cadenti nelle migliori librerie o direttamente sul sito di Guida Edizioni cliccando su questo link https://www.guidaeditori.it/prodotto/come-stelle-cadenti/

Ad maiora, Monica!

Fabio Iuorio
Fabio Iuorio
Osservatore del sociale a 360°, amo scrivere e guardare Oltre Ho amato il ruolo di giornalista e speaker radiofonico fin da bambino, mi piace poter approfondire temi a sfondo sociale spesso ignorati dalla società moderna. Che dire, come si evince dal titolo della mia trasmissione ( Imagine - Il Mondo Che Vorrei ) … sono un eterno sognatore di un mondo come quello descritto da John Lennon in Imagine, un mondo dove non esistono discriminazioni e guerre, nulla per cui uccidere o morire.
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