Non è certamente una novità sostenere che siamo completamente immersi in tre urgenze: sanitaria, economica, del lavoro che hanno portato alle estreme conseguenze una crisi di sistema, imponendo al Presidente della Repubblica una soluzione d’ eccezione, quella della chiamata in campo di Draghi che viene da fuori dall’ agone politico.
Ci troviamo, quindi, di fronte ad una abdicazione della politica, la quale ha consegnato tutta sé stessa e i suoi voti a Draghi, ad eccezione di Giorgia Meloni, gelosa della sua diversità e pronta a sfruttare una opposizione in esclusiva.
La politica, nel fare questa scelta quasi completamente omogenea, spera che Draghi risolva gli obblighi con Bruxelles incassando i fondi del Recovery, spenda il suo credito internazionale garantendo che l’ Italia farà la sua parte, e intanto gestisca le urgenze fronteggiando il virus e l’ onda d’ urto della crisi sociale pronta a esplodere nel nostro Paese.
Ma la crisi più importante del secolo non è una parentesi, è anche e soprattutto un agente di trasformazione che sta modificando tutti gli equilibri, compresi quelli della politica, già in piena metamorfosi.
Infatti, il primo cambiamento sta nella mutazione di Draghi da tecnico a politico. Egli è stato scelto per la sua esperienza nel punto delicato di snodo tra l’ Italia e l’ Europa, e per la sua competenza specifica in campo economico e finanziario, maturata alla guida di organismi nazionali e sovranazionali.
È chiaro che, nel momento in cui Draghi ha ricevuto un mandato sia dal Capo dello Stato che dai partiti, ai quali chiederà di volta in volta i voti in Parlamento, questa ottica europea diventa, di fatto, leadership politica, perché viene istituzionalizzato il carisma personale del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Quest’ ultimo perderà la neutralità del tecnico, perché dovrà fare inevitabilmente scelte dirimenti e divisive, come già dimostrano i mal di pancia di Salvini.
Le politiche di sicurezza e di tutela della popolazione in un momento di drammatica crisi non si attuano solo sulla base di numeri, bensì in un ambito di visione, di concezione di società diverse tra loro, di opzioni sostanziali di futuro.
Chi ha dato il suo appoggio a Draghi, magari solo per il timore di rimanere escluso, deve appoggiare conseguenzialmente anche il progetto europeista, ma quest’ ultimo non è una giaculatoria, è una scelta politica ben precisa che comporta obblighi, responsabilità e incompatibilità, a partire dalla scelta della collocazione internazionale dell’ Italia, dal suo rapporto con le democrazie e con i sistemi neoautoritari di altri Paesi, quali la Russia, la Turchia, l’ Ungheria, etc..
Sarà questa identità a selezionare il sostegno dei partiti al Governo che dovrà scegliere tra le varie misure per uscire dall’ emergenza.
Il premier, diventando un politico a pieno titolo, potrà mediare meno di un tecnico, in quanto potrà accettare compromessi solo nella misura in cui la sua biografia glielo permetterà.
Questa congiuntura d’ emergenza che è diventata congiuntura politica, da ultima spiaggia, mette i partiti in una situazione da “prendere o lasciare” che determina molte strane improvvisate conversioni, vere e proprie acrobazie politiche improvvisate, non minimamente elaborate.
Draghi può comporre e scomporre l’ intero quadro politico generale come fino adesso lo conosciamo, “l’ apriscatole” del sistema.
Nel M5S, in cui manca ancora un vero leader, la faglia è già visibile a occhio nudo, mentre negli altri partiti, sottotraccia, sta partendo una revisione dei conti.
Discorso a parte merita la Lega, infatti si tratta di capire il punto di caduta finale delle contorsioni in atto, in quanto si fronteggiano una destra moderata e di governo con un’ altra che fa molta fatica a mollare gli ormeggi per andare in una direzione diversa da quella verso la quale siamo abituati a vederla andare.
Il sostegno quasi unanime a Draghi svela l’ impossibilità per tutto il sistema di perdere il treno per l’ Europa, squarcia il velo delle falsità predicate per anni contro l’ euro e la Unione Europea, vacheggiando l’ idea di una Italexit, mettendo in luce una frenata del sovranismo nazionalista, ma anche di un altro fenomeno ovvero quello dell’ indebolimento del populismo e dell’ antipolitica.
L’ universalità del contagio pretende una risposta competente e solidale, mentre la paura reale scaccia quelle ideologiche di cui il populismo si è nutrito.
Il Paese ha bisogno di governo e non di ruspe e di ” vaffa” e questo fa riscoprire le virtù della competenza, della conoscenza e del sapere che erano state sistematicamente vilipese. Tutti ricordiamo lo slogan “uno vale uno”.
L’importante, però, è che quel sapere venga speso al servizio della società intera e non per il privilegio dei garantiti, forzando il nucleo di fondo delle classi dirigenti che dovranno coniugare gli interessi particolari con quelli generali. Solo così si diventa concretamente classe dirigente.
Non c’è modernizzazione possibile se una parte del Paese crede di potersi salvare da sola, mentre la società si spezza. Ma per raggiungere questa modernizzazione occorre tenere l’ Italia dentro la cultura politica e istituzionale europea e dentro la civiltà democratica occidentale.
Tutto ciò comporta che arriverà il momento in cui si dovrà un orizzonte politico/culturale all’ Italia messa in sicurezza e si tratterà di capire con chi farlo. Si tratterà di costruire una base sociale di sostegno, di costruire un “blocco storico”.
Dopo l’ uscita della pandemia, anche nel quadro politico, nulla sarà come prima e già da ora occorrono azioni politiche lungimiranti per intraprendere la strada diretta alla diminuzione delle diseguaglianze sociali, nonché del riconoscimento di antichi e nuovi diritti.
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