Quella che viene comunemente definita la seconda ondata della pandemia del Covid sta ricreando nuovamente una situazione di grave preoccupazione per la nostra salute e per la tenuta del nostro tessuto economico. Il timore di perdere diverse migliaia di posti di lavoro è grave non solo di per sé, ma anche per l’ impatto che può avere sulla nostra democrazia. Una democrazia si regge sul presupposto di una coesione sociale, nel senso di una diffusa consapevolezza che una comunità nazionale può salvarsi e prosperare solo nella misura in cui tutti si ritengono parte di un tutto e non tante disomogenee nicchie che sperano di salvarsi a discapito o addirittura contro il resto della società. Basti pensare che stanno sempre più emergendo, ad esempio, contrapposizioni tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti e, tra questi ultimi, tra pubblici e privati.
Per evitare equivoci, è il caso di ricordare che il peso del carico fiscale nazionale è per oltre l’ 80% sulle spalle dei lavoratori dipendenti e che, quindi, la questione grave dell’ evasione ed elusione fiscale si pone in tutta la sua evidenza. Ma una cosa è adottare provvedimenti finalizzati a contrastare questo negativo e pernicioso fenomeno, altro è, invece, scavare dei solchi tra i cittadini che possono produrre una frantumazione irreparabile nel corpo sociale del Paese.
Infatti, si avverte un pericoloso smarrimento presente già prima che fossimo investiti dalla pandemia, perché eravamo e siamo ancora immersi nella crisi economica più lunga del secolo. La radicale metamorfosi del mondo, caratterizzato da un caos non governato, ha prodotto diffusi sentimenti, quali la paura, l’ esclusione, il risentimento e il rancore.
Sentimenti che hanno originato una neolingua e una neopolitica. Sono saltate le nostre strutture di mediazione politico – culturali, ma anche il senso del limite, la coscienza della responsabilità, generando un nuovo senso comune caratterizzato da forti egoismi in un contesto che li giustifica e spesso li approva.
La ferocia è diventata discorso privato e pubblico, senza argini culturali.
Una regressione dell’ umano che porta inevitabilmente all’ odio. Il Covid ha fatto da detonatore al sovvertimento dell’ intera struttura dei valori che regge la vita associata.
È chiaro che l’ umano e il disumano hanno sempre convissuto in tutti i tempi, ma, di volta in volta, emerge ora l’ uno, ora l’ altro. Il problema di fondo è che, nell’ epoca in cui viviamo, i principi che hanno ispirato il nostro vivere in comune sono venuti meno e non sono stati sostituiti con altri capaci di farci stare in un mondo completamente cambiato.
La finanziarizzazione dell’ economia ha reso quest’ ultima dominatrice dell’ intero tessuto delle relazioni umane e, pertanto, siamo passati da una economia di mercato a una società di mercato. Questo fenomeno è stato reso ulteriormente possibile dall’ onnipotenza del web che ha relegato il prossimo in una dimensione virtuale, annullando i corpi.
Come accennavo poc’ anzi, la pandemia ha reso evidente il cambiamento antropologico del quale siamo stati investiti al punto tale da teorizzare un supposto beneficio nel permettere di fare morire le persone fragili. In questo modo gli altri saranno più forti.
In Inghilterra hanno inventato l’ algoritmo “Nice” che stabilisce chi ammettere alla terapia intensiva e chi no. Una cosa davvero mostruosa e che dimostra che abbiamo valicato il confine dell’ umano. Siamo nel postumano.
Dove è andata a finire l’ unicità di ogni essere umano? La sua dignità? Il rispetto dell’ uomo per l’ uomo che si combina con la conoscenza, in quanto solo attraverso questa si acquisisce la consapevolezza dell’ universalità della natura umana.
Urge un pensiero alternativo capace di immaginare un diverso modo di intendere le relazioni umane e, da come usciremo dalla pandemia, si potrà iniziare a imboccare una strada diversa da quella che stiamo percorrendo.
Prima che tutto diventi tragicamente irreversibile, dobbiamo riscoprire l’ umano che è in noi e metterlo efficacemente in relazione con gli altri. Ma la precondizione di ciò è un nuovo e migliore rapporto con la natura cessando di depredarla. Questo non per un generico spirito “ecologista”, ma per la convinzione che migliori relazioni umane nascono solo interagendo con modalità profondamente diverse nel contesto ambientale e con tutte le creature viventi.