Ieri parlavo con colleghi del più e del meno e essendo in un posto splendido da un punto di vista ambientale come la Val di Chiana in Toscana ,come spesso capita di questi tempi il raffronto con lo status delle nostre sventurate terre campane e’ stato automatico.
Da li’, nel procedere del discorso, mi sono accorto che malgrado il gran parlare di inquinamento di questi ultimi tempi, molti degli ” step” obbligatori per realizzare un ciclo dei rifiuti in equilibrio, che è necessario a ottenere di conseguenza un ambiente sano, sono in gran parte sconosciuti ai piu ‘.
E questo è uno dei limiti dell’ambientalismo italiano: diamo per scontata una conoscenza ecologica di massa( cioè dei cittadini comuni ) che NON lo e’ AFFATTO.
E ci sarà chiaro, che se manca questo passaggio, ogni condivisione con i cittadini del “perche’ ” lo status quo’ ambientale sia disastroso in questo Paese( e nel sud in particolare ), sia spesso avvolta da poco interesse , se non addirittura da una avversione, rispetto a soluzioni come i bruciatori , drammaticamente inquinanti e costosissime .
Soluzioni queste ultime, che sono ovviamente CONTRO l’interesse dei cittadini stessi , ma dato che sono più semplicemente proposte , pubblicizzate ( e quindi imposte ) alle opinioni pubbliche da chi ha interesse a imporle, siano amministrazioni pubbliche o imprenditori , risultano alla fine paradossalmente più popolari e condivise.
Per esempio pochi sanno davvero cosa sia il Compostaggio.
Invece questo rappresenta il primo fondamentale anello di qualsiasi impiantistica, necessario al recupero e alla valorizzazione, anche a fini agronomici, della frazione organica( cioè dei nostri rifiuti umidi come gli scarti di ortaggi,di potatura o di cibo,)
. Manca cioè, perché “sabotata” o volutamente “non realizzata”, quell’impiantistica, dalla tecnologia non molto complessa e dai costi abbastanza contenuti, che si sarebbe potuta realizzare in pochissimi mesi e che avrebbe consentito di evitare, sorretta anche solo da una semplice separazione secco-umido dei rifiuti, quel disastro dalle proporzioni bibliche che la popolazione campana per esempio ,ha dovuto subire in particolare tra la fine del 2007 e i primi mesi del 2008.
Risulterà evidente a tutti come l’emergenza rifiuti in Campania ( o in Lazio, Abruzzo, Sicilia ) non è un problema di natura “tecnica”, in quanto le tecnologie e l’impiantistica necessaria sono comunemente disponibili, ma di tipo culturale-politico-affaristico-criminale :
1)Culturale, per il livello di degrado del contesto sociale in cui tale emergenza è maturata e che tale evenienza ha favorito;
2)politico, a causa del deficit decisionale e pianificatorio che l’ha sostenuta e prolungata nel tempo, frutto di una precisa volontà di svendere il territorio per il proprio tornaconto politico-clientelare;
3)affaristico, per gli interessi delle grandi imprese del nostro Paese (vedi FIBE) che si sono saldati con quelli delle banche e con i gruppi occulti di potere nel tentativo di imporre soluzioni “impiantistiche” inefficaci, inefficienti ed inquinanti, ma assai lucrose per chi le sosteneva;
4)criminale per il ruolo che la “camorra” ha svolto in questi anni, anche grazie alla colpevole assenza di controlli da parte delle Istituzioni, sfruttando le inefficienze del ciclo di gestione per infiltrarsi nei gangli del sistema ed indirizzare lo smaltimento dei rifiuti verso pratiche illegali estremamente pericolose per la salute dei cittadini
Ora sappiamo che la quantità di rifiuti urbani prodotti in Regione Campania, stimata con riferimento all’anno 2008,è di 2.765.705 tonnellate annue pari ad una produzione giornaliera di 7.577 tonnellate, circa un chilo e 300 grammi pro-capite al giorno.Il dato credo sia omologabile ,con qualche differenza marginale, anche ai nostri tempi.
Di queste quantità circa un terzo, ossia il 33,62% in peso (approx. 2.547 tonnellate al giorno, 929.000 all’anno) è costituito da sostanza organica. Costituisce cioè la frazione più rilevante, prima ancora della carta e cartone, della componente indifferenziata e di plastica, vetro, metalli, legno, tessili e ingombranti messi assieme.
Basta già solo questo primo dato per rendere evidente quanto sia importante una corretta gestione della frazione organica dei rifiuti ai fini del superamento della fase emergenziale e dell’avvio di un corretto ciclo di gestione dei rifiuti. Ovvio però che il trattamento della frazione organica, nella misura in cui è finalizzato al recupero della stessa per utilizzi agronomici (vedi compost) o di ricomposizione ambientale, non può prescindere dalla disponibilità di adeguata impiantistica destinata a tal fine, cosicché la sola adozione, da parte dei Comuni, di efficaci sistemi di raccolta differenziata delle frazioni valorizzabili dei rifiuti (anche limitata alla sola separazione secco-umido) non è di per sé sufficiente a garantire un corretto utilizzo della detta frazione organica in assenza degli impianti adatti. Sotto questo profilo è stato frequente in questi anni che i Comuni virtuosi della Campania, nell’impossibilità di conferire la frazione organica ad impianti idonei in Regione, siano stati costretti a destinarla fuori regione ad un costo che supera i 200 Euro a tonnellata, contro i circa 80 Euro a tonnellata per il conferimento in discarica. E’ facile notare come tale paradossale situazione non incentivi di certo le amministrazioni comunali al recupero della frazione organica ma bensì le spinga sempre più spesso, anche per evitare le probabili ripercussioni sul bilancio comunale, a destinare tale problematica frazione in discarica
Ancora oggi, quindi, la sfida è quella di trasformare con poche risorse e in tempi relativamente brevi il “problema” rifiuti in “risorsa” per uno dei territori più fertili e devastati d’Italia e forse d’Europa.
Quindi sarà lampante a tutti quanto sia importante il trattamento della frazione organica. Ma di cosa parliamo in pratica?
Be Wikipedia ci dice che”trattamenti biologici della sostanza organica consistono in quel complesso di operazioni, processi ed attività a carico di materiali biodegradabili di varia natura e provenienza (frazioni organiche da raccolta differenziata, frazioni organiche da separazione meccanica del rifiuto indifferenziato, scarti lignocellulosici da manutenzione del verde, fanghi biologici con presenza relativamente elevata di metalli pesanti. etc.) che sfruttando le potenzialità di degradazione e di trasformazione da parte di microrganismi decompositori, consentono una mineralizzazione delle componenti organiche maggiormente degradabili, processo definito anche come “stabilizzazione” della sostanza organica, e l’igienizzazione per pastorizzazione della massa di rifiuti.”
In pratica significa rifare industrialmente quello che la natura fa normalmente: cioè permettere ai nostri rifiuti umidi di decomporsi naturalmente .Quindi di trasformarsi in un materiale organico, un concime utile per ” nutrire” il terreno e quindi le piante…
Ora, i più informati avranno letto che il compostaggio però può essere realizzato in 2 modi diversi : AEROBICO ( in presenza di ossigeno ) o ANAEROBICO (in assenza di ossigeno )
1)Ora quello Aerobico e’ di fatto quello più simile a quanto avviene in natura .Di fatto demolisce la sostanza organica in modo “naturale” e non produce gas combustibili. Se utilizza sostanza organica selezionata da raccolta differenziata spinta, sfalci e potature verdi produce un fertilizzante ottimo per impieghi in agricoltura e florovivaismo nella forma di compost di qualità
Di fatto parliamo di un processo biologico aerobico controllato e accelerato dall’uomo che porta alla produzione di una miscela di sostanze umificate (il compost). Consiste sostanzialmente in due fasi: bio-ossidazione e maturazione.
Per avere un buon compost, è necessario disporre dell’adeguato materiale organico di partenza e delle condizioni ambientali idonee alla sua produzione da parte di organismi decompositori presenti nel suolo.
Purtroppo ha un problema non da poco: produce spesso cattivi odori, dovuti alla naturale decomposizione dei rifiuti, quindi sono impianti poco adatti da essere T pensati vicino ai centri abitati.
2) L’ Anaerobico invece agisce per lo più a caldo, con produzione di metano e altri gas (bruciati per ottenere energia termica e/o elettrica) e di percolato liquido inquinante. Il rifiuto esausto (digestato) viene poi “stabilizzato” in presenza d’aria e, a seconda della tipologia, dà origine a un prodotto che i fautori chiamano in modo improprio “compost”, ma che invece ha una composizione chimica e una qualità nettamente inferiore al vero compost aerobico.
In pratica la digestione anaerobica può avvenire o a carico di materiale organico di elevata qualità selezionate alla fonte e dunque essere inserita in una filiera di valorizzazione agronomica ma anche di materiali di qualità inferiore (da selezione meccanica di rifiuti indifferenziati o con contaminazioni relativamente elevate in metalli pesanti; in quest’ultimo caso il digestato (ossia il materiale residuato dalla fase di digestione può essere poi indirizzato alla stabilizzazione pre-discarica, alla bioessiccazione od alla produzione di materiali per altre applicazioni.
E questo capirete e’ un grande limite, perché ritorna alla necessità di prevedere uno smaltimento che un ciclo ecologico dei rifiuti non dovrebbe prevedere.
Per cui, come sempre, la soluzione migliore è una intermedia tra queste 2 tecnologie.
In medium stat virtus …. No?
Quindi proviamo a riassumere queste differenze per semplificare :
➢ la digestione anaerobica produce energia rinnovabile
(biogas) a fronte del compostaggio aerobico che
consuma energia;
➢ gli impianti anaerobici sono in grado di trattare tutte le
tipologie di rifiuti organici indipendentemente dalla
loro umidità, a differenza del compostaggio che
richiede un certo tenore di sostanza secca nella miscela
di partenza;
➢ gli impianti anaerobici sono reattori chiusi e quindi
non vi è rilascio di emissioni gassose maleodoranti in
atmosfera, come può avvenire durante la prima fase
termofila del compostaggio;
➢ nella digestione anaerobica si ha acqua di processo in
eccesso che necessita di uno specifico trattamento,
mentre nel compostaggio le eventuali acque di
percolazione possono essere ricircolate come agente
umidificante sui cumuli in fase termofila;
➢ gli impianti di digestione anaerobica richiedono
investimenti iniziali maggiori rispetto a quelli di
compostaggio;
➢ la qualità del digerito, in uscita dalla digestione
anaerobica, è molto più scadente di quella del compost
aerobico.
Quindi ,come anticipavo , l’integrazione dei due processi può portare dei notevoli vantaggi, in particolare :
➢ si migliora nettamente il bilancio energetico
dell’impianto, in quanto nella fase anaerobica si ha
in genere la produzione di un surplus di energia
rispetto al fabbisogno dell’intero impianto;
➢ si possono controllare meglio e con costi minori i
problemi olfattivi; le fasi maggiormente odorigene
sono gestite in reattore chiuso e le “arie esauste”
sono rappresentate dal biogas (utilizzato e non
immesso in atmosfera). Il digerito è già un materiale
semi-stabilizzato e, quindi, il controllo degli impatti
olfattivi durante il post-compostaggio aerobico
risulta più agevole.
➢ si ha un minor impegno di superficie a parità di
rifiuto trattato, pur tenendo conto delle superfici
necessarie per il post-compostaggio aerobico, grazie
alla maggior compattezza dell’impiantistica
anaerobica;
➢ si riduce l’emissione di CO2 in atmosfera (Kubler
and Rumphorst, 1999) da un minimo del 25% sino al
67% (nel caso di completo utilizzo dell’energia
termica prodotta in cogenerazione); l’attenzione verso i
trattamenti dei rifiuti a bassa emissione di gas serra è
un fattore che assumerà sempre più importanza in
futuro.
Ecco, nella speranza di aver fatto un minimo di chiarezza, mi perdonerete se non ci sono riuscito, ma capirete che è materia ricca di tecnicismi vi lascio con una frase di un ambientalista compianto, come Alex Langer che credo possa essere insieme un monito e una strada da percorrere :
“Sintanto che non si avranno in tutti gli ambiti pubblici e privati accurati bilanci della reale economia ambientale che facciano capire i reali ” profitti” e le reali perdite,non sarà possibile sostituire gli attuali concetti di desiderabilità sociale, e tanto meno un cambiamento dell’ordine economico.