In Ungheria, nel XIII secolo, era in voga la pena dello squartamento. La pratica, utilizzata solo per punire i reati più gravi, consisteva nel tagliare a pezzi il condannato, dopo ma più spesso prima della morte, provocata per impiccagione, e nell’esporre poi pubblicamente, in alcuni luoghi della città, le parti del corpo della vittima in segno di monito per l’intera comunità. Oggi i costumi sono cambiati, una pratica cruenta come lo squartamento sarebbe inaccettabile; ma l’idea della “punizione esemplare e severissima”, che serva da avvertimento e insieme da dimostrazione dell’efficienza del sistema punitivo, continua a conservare un indubbio fascino.
Genny ‘a carogna ha avuto i suoi 5 anni di Daspo, il massimo della pena stabilita dalla legge per il divieto ad assistere alle manifestazioni sportive per chi ha mostrato di non meritarselo, macchiandosi di comportamenti o gesti esecrabili che lo bollano come “soggetto pericoloso”. Tra le motivazioni addotte dalla Questura di Roma, che ha eseguito il provvedimento, la maglia indossata da Gennaro De Tommaso, nera e con la scritta gialla “Speziale Libero” che ha fatto il giro del mondo, che inneggia all’assassino di Filippo Raciti, il poliziotto ucciso durante gli scontri provocati dagli ultrà catanesi durante il derby Catania – Palermo il 2 febbraio 2007; e il gesto di sedersi sulle recinzioni che separano le curve dal campo, quasi come a volerle scavalcare, cosa che poi ha effettivamente fatto, per interloquire con i dirigenti e il capitano del Napoli, su richiesta di quegli stessi dirigenti di polizia che oggi gli vietano l’accesso agli stadi, in quelle immagini ormai famose, che hanno fatto il giro del mondo, svergognando Napoli e l’Italia, scrivendo una pagina oscena del calcio italiano, in cui le sorti della partita pendono e dipendono dal filo invisibile attaccato al pollice in su di Genny ‘a carogna che dice “ok, si può giocare”, piccolo gesto di incommensurabile potere che decreta l’avvio di un grande evento, una partita di calcio decisa da un capo ultrà, figlio di un camorrista e sostenitore di un assassino, una vergogna che infanga il buon nome della squadra, delle tifoserie, della società calcistica e dei calciatori tutti.
L’ira di un’Italietta arrabbiata che aspettava solo la scintilla per accendersi di collera e rancore non si è fatta attendere. Da tutte le parti si è levato un coro unanime di dissenso e condanna nei confronti di Gennaro De Tommaso, la “carogna”, simbolo di un tifo malato, esponente di una camorra che decide e regna sovrana anche negli stadi, sullo sport che dovrebbe essere anti-violenza, legalità, pulizia fisica e morale. Genny ‘a carogna mi fa schifo, Genny ‘a carogna ha deciso le sorti della partita, la partita di Genny ‘a carogna, è lui che comanda in Italia, che scuorno e che vergogna, ancora una volta sono l’Italia e il calcio che ne escono sconfitti.
Il gesto di Genny ‘a carogna meritava una punizione esemplare. Genny ‘a carogna ha avuto i suoi 5 anni di Daspo. Per un lustro non potrà più accedere agli stadi per assistere alle competizioni sportive, per un lustro e forse più la sua faccia continuerà ad essere associata a quanto di peggio esiste nel mondo del calcio, simbolo di uno sport venduto alla malavita che addirittura minaccia gli sportivi, “tanto tutti sappiamo dove siamo”, ha detto la “carogna” a Hamsik, inviato per “trattare” con le tifoserie, che, tradotto, secondo i giornali vorrebbe dire: “se c’è il morto vengo a cercarti”.
Genny ‘a carogna ha avuto il suo Daspo, la sua punizione, non “severissima”, ma di certo “esemplare”. Una punizione che serva da monito a tutti, ma che soprattutto distragga le masse da chi ha le reali responsabilità di ciò che è accaduto sabato, fuori e dentro l’Olimpico. Genny ‘a carogna è il capro espiatorio che si prende tutta la colpa e distrae e soddisfa l’opinione pubblica placandone l’ira e la sete di vendetta, in modo che a nessuno possa venire in mente di farsi troppe domande, di chiedersi, per esempio, quali siano le colpe della Questura, per il fatto che a Tor di Quinto, dove i tifosi napoletani non avrebbero mai dovuto arrivare, non ci fosse neanche una pattuglia a scortarli, così come non c’era polizia a sorvegliare i luoghi più caldi, come la sede dell’estrema destra capitolina frequentata da Daniele De Santis, pregiudicato e armato; oppure domandarsi perché, una volta dentro lo stadio, a parlare con i tifosi che si rifiutavano di assistere a una partita macchiata del sangue di un loro compagno, i non meglio identificati “dirigenti”, non si sa se della Federcalcio, o della polizia, o del calcio Napoli, abbiano deciso di mandarci Marek Hamsik, il capitano del Napoli, un ragazzo di 27 anni che poco o nulla ha a che fare con gli oscuri rapporti tra “Stato e Mafie”, costretto a “metterci la faccia”, a rassicurare i tifosi sul fatto che Ciro non fosse morto, perché la sua faccia, quella di Hamsik, agli occhi dei tifosi è più credibile di quella di un qualunque “dirigente”, di polizia, della Federcalcio, di una società sportiva.
Genny ‘a carogna ha avuto i suoi 5 anni di Daspo: i cattivi sono stati puniti, e tutto può tornare alla normalità. Tutti potranno dimenticare lo scempio che si è consumato quel sabato sera, fuori e dentro all’Olimpico, o relegarlo in un angolo della memoria dove, a rassicurare sull’efficienza di un sistema in realtà marcio fino al midollo, ci sarà sempre la faccia della “carogna”, il suo busto issato sulle recinzioni che separano le curve dal campo e rivestito di quella maglietta esecrabile, che istiga con una scritta all’omicidio, come i pezzi squartati del condannato esposti alla pubblica gogna, monito e deterrente ma anche compiaciuta messa in mostra dell’efficienza del governo, che sa come punire i cattivi in maniera esemplare.
Il colpevole è lui, è Genny ‘a carogna, e questo basterà a far dormire tranquilla quell’Italietta rude e arrabbiata, a farla smettere, almeno per un po’, mentre si accanisce, da iena, sui resti della “carogna” squartata per esigenze mediatiche, di vomitarsi addosso quella collera e quel rancore di ignota provenienza, le cui vere motivazioni resteranno, ancora una volta, insabbiate.