Il lavoro – pubblicato su ‘Nature Medicine’ – ha identificato alcune alterazioni immunologiche che, attraverso un esame del sangue, potranno essere sfruttate per identificare i pazienti destinati ad aggravarsi.
Il futuro dei contagiati dal nuovo coronavirus si può ‘leggere’ nel sangue. Lo suggerisce lo studio ‘Covid-Ip‘, condotto da un team internazionale guidato da Adrian Hayday del King’s College London e del Francis Crick Institute di Londra, con la partecipazione di Francesca Di Rosa dell’Istituto di biologia e patologia molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibpm) di Roma. Il lavoro – pubblicato su ‘Nature Medicine’ – ha identificato alcune alterazioni immunologiche che, attraverso un esame del sangue, potranno essere sfruttate per identificare i pazienti destinati ad aggravarsi.
L’infezione da Sars-CoV-2 – ricordano dal Cnr – può essere asintomatica oppure causare la malattia Covid-19, le cui manifestazioni cliniche sono però estremamente eterogenee: da una patologia respiratoria lieve a un quadro clinico grave, in alcuni casi fatale. Ebbene, secondo gli autori della ricerca, “analizzando il sangue dei pazienti si possono ottenere previsioni sul decorso della malattia“. Lo studio ha coinvolto 63 pazienti ricoverati con Covid negli ospedali londinesi Guy’s e St Thomas di Londra, producendo informazioni che, “se confermate in un numero più elevato di pazienti – afferma De Rosa – potranno rivelarsi utili a scopi prognostici, consentendo di prevedere quali siano i pazienti maggiormente a rischio di aggravarsi e di mettere così in atto tempestive e adeguate misure”.
Al centro del lavoro c’è un test per analizzare nel sangue il ciclo cellulare dei linfociti T, i ‘soldati’ della risposta immunitaria specifica. “Qualche anno fa – spiega la scienziata del Cnr-Ibpm – abbiamo ideato un test che ci ha consentito di scoprire che nel sangue di topolini vaccinati ci sono linfociti T proliferanti in fase di duplicazione del Dna. Lo studio riguardava allora un vaccino sperimentale in collaborazione con la ditta Reithera“. Mentre “oggi, nel nuovo studio Covid-Ip, il test ci ha consentito di identificare alcuni sottotipi di linfociti T proliferanti nei pazienti più gravi e di avere informazioni dettagliate sul loro ciclo cellulare, ovvero l’insieme degli eventi compresi tra la formazione di una cellula e la sua divisione in due“. La proliferazione, in particolare, si accompagna a una marcata diminuzione nel sangue dei linfociti T nei pazienti Covid-19 più gravi.
“Questi risultati aprono la strada a una migliore comprensione delle funzioni dei linfociti T in questa malattia – prosegue De Rosa – In particolare, le alterazioni dei linfociti T potrebbero riflettere la capacità del virus Sars-CoV-2 di tenere sotto scacco la risposta immunitaria, nonostante quasi tutti i pazienti abbiano anticorpi specifici nel sangue, prodotti dai linfociti B“.
“I linfociti T e B – precisa la ricercatrice – sono le cellule del sistema immunitario che si occupano di mediare la risposta specifica contro un agente patogeno. Infatti, in presenza di uno stimolo, i linfociti si attivano e si riproducono velocemente per fronteggiarlo. Nella Covid-19 la risposta dei linfociti T appare disregolata“.
“Altro elemento correlato con la gravità del decorso clinico – riferisce ancora la studiosa del Cnr-Ibpm – è la notevole riduzione dei granulociti basofili e delle cellule dendritiche plasmacitoidi. Inoltre, è stato dimostrato che l’aumento dei livelli di una triade di molecole – chemochina IP-10, interleuchina-10 e interleuchina-6 – è un segnale premonitore dell’aggravarsi della malattia più attendibile di quelli finora analizzati (proteina C-reattiva, ferritina, D-dimero)“.