Crimine e indignazione

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La notizia della brutale aggressione  subita qualche giorno fa da Giovanni Lanciato nella nostra città, mentre faceva il suo lavoro di rider, perpetrata da sei giovani, tra loro 4 minori, ha avuto un forte clamore nella nostra città.

Ha suscitato riprovazione, condanna e anche tanta solidarietà nei confronti della vittima.
Inoltre, grazie a una registrazione video dell’ evento delittuoso fatta da una persona estranea ai fatti, in pochissimo tempo sono stati assicurati alla Giustizia i responsabili di questa inaudita violenza finalizzata  a sottrarre al malcapitato il proprio scooter che Giovanni utilizza per lavorare e che è stato recuperato. Tra l’ altro, il rider è un lavoro faticoso e mal pagato e che solo da poco tempo si sta provando a dare qualche dignitosa tutela.
E fuori di dubbio che questa brutta notizia di cronaca ponga in primo piano l’ esigenza del diritto alla sicurezza. Un diritto fondamentale per l’ agibilità democratica, perché se ci si sente insicuri sul piano della tutela della integrità personale e dei propri beni, viene meno anche la voglia di partecipazione alla vita sociale, politica, associativa di qualsiasi genere.
In realtà, per una serie di cause, da diversi anni è in atto una sproporzione tra il reale numero dei reati e la percezione di insicurezza nell’ opinione pubblica.
Basti pensare che negli anni settanta gli omicidi era più del doppio di questi ultimi anni, e se non avessimo la terribile piaga del femminicidio, il numero degli assissinii sarebbe ulteriormente basso.
Gli stessi reati predatori tendono a diminuire, ma non diminuisce la paura di poter rimanere vittime di questo genere di reato.
Il pericolo che una esperienza di questo tipo capiti ai nostri affetti più cari è sempre lì; abbiamo ancora negli occhi le immagini riprese, la nostra percezione continua a sembrarci una esperienza universale.
Naturalmente, ciò contiene il serio rischio di poter pensare che le “maniere spicce” possano funzionare come toccasana sociale, una vera e propria ideologia che Luigi Manconi ha opportunamente definito “populismo penale”, infatti, quando si verificano eventi odiosi come quello in cui è incappato Giovanni Lanciato, si scatenano reazioni di vario genere, oltre a quelli menzionati: indignazione, rabbia, voglia di punizione e, spesso, richieste di pena di morte, illudendosi che, con la sparizione del malfattore, sparisca anche il male in quanto tale, la cui vera natura e dimensione sono  tutt’ altro che scontate.
Si crea e si rafforza, apparentemente in modo auto indotto, ma in realtà ben nutrito da una serie di soggetti intenzionati ad arricchire un determinato senso comune, un fenomeno collettivo caratterizzato da uno stato emotivo di rabbia e di paura a detrimento di quello critico-razionale.
A questo proposito, è bene chiarire che una cosa è chiedere una efficienza ed una efficacia nell’ amministrare giustizia, altro è aderire a una concezione sostanzialista e retributiva della pena detentiva che è l’ esatto contrario di quanto giustamente dispone l’ art. 27 della Costituzione.
Se le Costituenti e i Costituenti hanno voluto inserire nell’ articolo citato il concetto di “…colpevole sino alla condanna definitiva…” e non quello di “innocente” è perché la categoria di innocenza, nel momento in cui avvengono fatti criminosi, viene meno per tutti i componenti di una comunità, tanto più quando quella comunità si caratterizza per un alto tasso di non rispetto delle regole che, ovviamente, non sono solo quelle di natura penale.
Il bene e il male non sono contenuti in uno spazio umano e temporale indefinitivamente perimetrato, infatti la storia insegna che, molto frequentemente, la strada per l’ inferno è lastricata da buone intenzioni.
Se viene trasmessa l’ idea alle nuove e nuovissime generazioni che la cosa fondamentale da difendere è soprattutto il proprio “io” da renderlo impermeabile agli affanni degli altri, perché meravigliarsi se il passaggio immediatamente successivo è l’ atto criminale vero e proprio?
Quanti e quali sono i punti di riferimento per i giovani tali da indurli a dare un contributo positivo alla comunità nazionale nell’ ambito del proprie inclinazioni?
Se il denaro è l’ unico generatore simbolico in termini valoriale, davvero è così sorprendente la vigliacca aggressione sopra ricordata?
Se noi adulti ci siamo poco o nulla preoccupati di contribuire a introiettare nei giovani una risonanza emotiva delle azioni che fanno, siamo davvero innocenti nei confronti della presenza del male?
L’ accertamento delle responsabilità penali non estingue la ricerca delle cause che originano i comportamenti criminali, né tanto meno la esecuzione della “punizione” ci può alleviare da un doveroso senso di colpa.
Quest’ ultimo si tende a soffocarlo proprio mediante la urlata richiesta di pena esemplare vista come panacea assoluta del male commesso.
Tra l’ altro, costituisce una ulteriore forma di rimozione della complessità; in questo caso, una confusione tra giustizia sociale e giustizia penale con relativo rovesciamento della giustizia nel suo contrario.
L’ amministrazione della giustizia rifiuta per definizione una sorta di assoluto, perché si trova a operare in quel mondo attraversato dal danno e dalla riparazione e che abbisogna della mitezza del diritto che non è da confondere con la mansuetudine, né tanto meno con la rinuncia a fare prevalere il diritto in tutti i suoi aspetti e nei confronti di tutti, ma con la consapevolezza che non è l’ espansione senza limiti del diritto penale la strada per il raggiungimento di una “purezza”.
Come diceva Nenni, alla fine ci sarà sempre “il puro più puro che epura l’ impuro”.
È comprensibile l’ indignazione rispetto ad eventi delittuosi come quello menzionato all’ inizio di questo articolo, ma l’ indignazione, la condanna del gesto, la richiesta di giustizia hanno un senso nella misura in cui sollevano dubbi e perplessità volte a ripensare i nostri stili di vita.