Intervista ad Anna Camerlingo napoletana, fotografa dei più importanti set di produzioni televisivi, cinematografici e teatrali.
Anna Camerlingo napoletana, nata sotto il segno dei pesci, fotografa dei più importanti set di produzioni televisivi, cinematografici e teatrali. Per me, e non solo, lei è gli occhi dell’anima dei protagonisti. Le sue foto sono vive e si raccontano oltre ogni fermo immagine.
Una figura esile che gira quasi invisibile sui set, ma che riesce a catturare sguardi come pochi. Dotata di grande accoglienza, un talento enorme accompagnato da una grande umiltà. Gli occhi di Anna divengono loro stessi quei volti, quegli sguardi, quelle anime e trasmettono un corollario di emozioni che sono difficili da raccontare su carta. Lei stessa è fotografia. Poco pensare e molto “sentire”. Ed è per questo, che, prendere visione dei suoi scatti è entrare nell’animo dei protagonisti.
Anna ha fotografato tanti grandi interpreti del cinema e del teatro come Massimo Ranieri, Gigi Proietti, Dario Fo, Luisa Ranieri, Sergio Castellitto, Alessandro Gassmann, Lino Guanciale per citarne alcuni. Da circa quindici anni è tra i più importanti fotografi di scena di svariate fiction come I Bastardi di Pizzofalcone, Mina Settembre e Il commissario Ricciardi per citarne alcune tra le più seguite
La incontriamo per farci raccontare il suo essere fotografa di foto che emozionano.
In Anna Camerlingo, come nasce la passione per la fotografia?
Ero una ragazza iscritta alla facoltà di Giurisprudenza e per curiosità ho seguito un corso di fotografia, ho iniziato a far foto e da allora non ho più smesso
Ci racconta come ha iniziato la sua carriera?
Ho fatto tanta gavetta, ho lavorato nello studio di Peppe Avallone, dove ho imparato a stampare il bianco e nero, a capire l’importanza di un archivio, ho guardato le sue foto e ho incominciato a capire cosa fosse realmente la fotografia, ho iniziato a “guardare”.
Cosa significa per lei “guardare e fotografare”?
Più o meno è la stessa cosa per me. Guardare per poi fotografare, ma ci deve essere sempre un’intenzione dietro uno scatto, un pensiero, un progetto. Fare una bella foto è semplice, fare una serie di belle fotografie è un pochino più difficile.
Vivere a Napoli, essere napoletana cosa significa quando si decide di fare questo mestiere?
Fare la fotografa di scena a Napoli, fino a qualche anno fa era decisamente difficile. Io da donna napoletana che non ha nessuna intenzione di trasferirsi a Roma, pur sapendo che le produzioni partono dalla Capitale, ho avuto non pochi problemi a riuscire a lavorare. Ma ci sono riuscita, ho fatto tanti film, alcuni mi hanno portato all’estero, spessissimo in giro per l’Italia, molti girati a Napoli. Per me significa avere la valigia sempre pronta, avere un grande spirito di adattamento, significa conoscere tanta gente e avere una mente molto aperta. Diventa uno stile di vita al quale non saprei rinunciare.
Quali sono le differenze tra l’essere fotografa di scena teatrale, cinematografica e televisiva?
Innanzitutto i tempi. Fare le foto in teatro significa riuscire a fare tuo un progetto in pochi giorni, in genere guardo lo spettacolo, capisco le luci, studio la scena e poi scatto. Cinema e televisione, intesa come fiction, hanno modalità simili. Leggo le sceneggiature, mi confronto con regia e direttore della fotografia, per essere in linea con quelle che sono le loro intenzioni, e inizio a scattare. Le uniche differenze tra cinema e fiction sono i tempi di realizzazione, paradossalmente un film per il cinema, pur essendo realizzato in poche settimane, ha dei tempi più mor-bidi. Le fiction, che possono essere realizzate anche in sei mesi, hanno dei ritmi più frenetici. In ambedue i casi, quando posso, mi diverto a realizzare dei progetti personali.
Ha sicuramente un ricordo emozionale della sua carriera, può raccontarcelo?
L’incontro con Dario Fo. L’ho conosciuto e fotografato a Napoli per la registrazione del suo spettacolo “Francesco lu Santo Jullare”. Non ho mai incontrato persona più aperta, curiosa, di-sposta a mettersi in discussione di lui. Nulla era scontato ma anche tutto estremamente semplice. C’era uno scatto che gli avevo fatto che mi piaceva particolarmente, era lui un attimo prima di entrare in scena. Poiché ero stata tanto ad osservarlo mi chiedevo cosa mai pensasse prima di esibirsi. Gliel’ho chiesto e la sua risposta è stata “faccio il vuoto”. Ecco lui era questo, si svuotava per poi riempirsi e per poi trasferire a noi spettatori le sue intenzioni. Non era mai uguale a se stesso. Lavorare con lui mi ha insegnato tanto.
Quali sono le difficoltà, che nel suo lavoro incontra, nel catturare uno sguardo, un’espressione piuttosto che un’altra?
Più che difficoltà parlerei di intese. Quando sono su un set devo essere assolutamente invisibile all’occhio dell’attore. Io scatto sempre durante le riprese, dove la tensione dell’attore è al massimo, l’attore deve fidarsi di me per permettermi di prendere anche delle posizioni scomode, solo così riesco a cogliere quelli che sono i momenti più intensi.
Nella sua carriera avrà scattato milioni di foto, nelle condizioni più varie, ricorda il soggetto più semplice o quello più complesso?
Ogni attore è una persona differente e ogni film è differente. Capita per esempio che lo stesso attore su due set differenti si comporti in maniera diversa. Ci sono alchimie riuscite ed altre meno.
Il suo soggetto preferito?
Probabilmente l’anima, che sia persona, paesaggio o altro, spe-ro che in ciò che fotografo ci sia sempre un po’ d’anima.
C’è stato un attore o attrice che ha preferito per una questione tecnica?
In generale i volti vissuti per me sono molto interessanti, donna o uomo non fa differenza. Gli occhi che sanno esprimere emozioni mi danno la possibilità di “raccontare” e quindi di fare delle foto che hanno un significato.
La foto alla quale è più legata?
Non ho una foto preferita, ho dei progetti ai quali sono più legata. Sicuramente c’è “Francesco lu Santo Jullare”, Il Commissario Ricciardi” e il film di Alessandro Gassmann “Il Silenzio Gran-de”, sempre tratto da uno scritto di Maurizio De Giovanni, ma ancora non uscito.
La foto che ancora non ha scattato? Oppure se ritiene di averlo fatto ce la racconta?
La foto che ancora non ho scattato è quella per la quale non mi direi “avrei potuto fare meglio”
Non posso non chiederle de Il Commissario Ricciardi, che è la fiction del momento, ci racconta l’esperienza di un set che l’ha catapultata negli anni 30?
Bellissima esperienza umana e professionale. Intanto prima di iniziare ho fatto uno studio sulla fotografia di quel periodo e mi sono divertita moltissimo a cercare di ridare quelle caratteristi-che tipiche dell’epoca. Ho realizzato oltre le foto di scena e fuori scena, anche dei ritratti dei vari personaggi che si sono avvicendati sul set. I costumi meravigliosi di Alessandra Torella, gli arredi accuratissimi di Toni Di Pace hanno reso appieno il periodo storico. Io ho solo colto quello che altri avevano costruito.
Lavorare con la regia di Alessandro D’Alatri, e con Davide Sondelli alla direzione della fotografia come è stato?
Alessandro e Davide sono innanzitutto amici, un’amicizia nata sui set. Sono due grandi professionisti, di cui stimo il lavoro e il lato umano. Hanno in comune una grande dote che è quella di fa-re squadra. La squadra è necessaria per portare avanti un progetto così ambizioso e complicato come quello di Ricciardi, con tempi serrati, con tante comparse, con tante location e ovviamente con tante difficoltà. Lavorare con due bravi professionisti fa la differenza, poi se sono anche amici significa che davvero non potrei augurarmi di meglio.
Fotografare Luigi Alfredo Ricciardi – interpretato magistralmente da Lino Guanciale – personaggio difficile con una grande e complessa espressività emozionale è stato difficile o le è risulta-to facile?
Semplice, perché Lino mi ha dato la possibilità di lavorare in libertà. Non si è mai sottratto, neanche nelle scene più complesse. Lino da grande professionista rispetta tutte le altre professionalità. Sa bene che lavoriamo tutti alla riuscita del progetto e che ogni figura è indispensabile.
Quali sono le differenze del fotografare durante le riprese e nel fuori onda, soprattutto quali le differenze tra le foto di scena e quelle della vita reale?
Durante le riprese ci sono dei meccanismi che vanno rispettati per non intralciare il lavoro degli operatori di macchina, del microfonista, dei macchinisti, dobbiamo lavorare in sinergia, inoltre nelle foto di scena sono obbligata a rispettare i punti macchina. Per i fuori scena sono molto più libera di raccontare tutto quello che accade prima o dopo che si giri una scena, l’incontro del regista con gli attori, la preparazione… insomma il racconto reale della finzione.
Quali sono le emozioni quando fotografa i suoi figli?
Se voglio cogliere veramente qualcosa di loro devo fare come Dario Fo, devo svuotarmi del quotidiano, del già visto, di quello che sembra essere troppo conosciuto, dell’ovvio e guardarli con occhi nuovi. E’ più difficile.
Lei si fotografa con l’autoscatto?
Avendo molta difficoltà ad essere dall’altra parte, mi sto divertendo ad essere fotografia delle mie foto.