Venerdì 3 e sabato 4 giugno, Annalisa Renzulli, sarà ancora in scena nella splendida cornice del Maschio Angioino con lo spettacolo teatrale «Eleonora Pimentel Fonseca. Con civica espansione di cuore», per la regia di Riccardo De Luca. Nel ruolo di Eleonora Pimentel Fonseca ci sarà ovviamente la straordinaria bravura di Annalisa Renzulli, e con lei sul palco Riccardo De Luca, Gino Grossi, Francesca Rondinella, Salvatore Veneruso, Maria Anna Barba, Dario Barbato e Lucrezia Delli Veneri.
Eppure, il teatro, è entrato nella vita di Annalisa Renzulli solo nel 2010, come lei stessa racconta alla collega Anna Copertino in questa intervista fatta per la rubrica ‘D’Amore e d’Arte‘. Un intervista che racchiude una vita intera, iniziata con il sogno della danza, per poi arrivare ad oggi sul quel teatro che per Annalisa Renzulli vuol dire ossigeno per continuare ad essere ‘VIVA’.
Annalisa Renzulli – “Cara Anna, da dove iniziare? Dico spesso che sono alla mia terza vita. Un caro amico una volta di me ha scritto “nata nel 2010”. Non aveva affatto torto, sebbene nel 2010 avessi già 34 anni. Da bambina, contro l’opposizione della mia famiglia in cui il ballo era un mondo assolutamente estraneo, ho lottato per essere iscritta a una scuola di danza classica. Avevo visto la Fracci in Mirandolina, non potevo non fare lo stesso! E l’ho amata, la danza, fino infondo. Dai miei 9 anni fino al diploma, allo studio del contemporaneo, all’arrivo anche a Napoli del tango argentino. Sebbene io sia una perfezionista e il tango, anche quello, volevo conoscerlo a fondo. Non ho fatto in tempo a andare in Argentina ma nel frattempo ho girato l’Italia per prendere lezioni dai grandi Maestri”.
A.C. – Il tuo sogno di ballerina si è poi interrotto a causa di un infortunio e hai preso una strada diversa da quella che sognavi da bambina…
A.R. – “Poco dopo il diploma in danza, una distorsione alla caviglia, durante una prova mi ha costretta all’immobilità dell’articolazione e così mi sono tuffata a capo fitto nello studio. Gli esami universitari. Mi piacevano le materie. La facoltà dicevano era inutile, Scienze Politiche, troppo vaga, poco specializzante. Ma a me sembrava mi desse proprio la giusta lente per riuscire a guardare il mondo da varie angolature. La storia delle relazioni internazionali! Avrei fatto il diplomatico! Forse quella sarebbe stata la soluzione alla mia instancabile curiosità. E così i giornali che arrivavano a casa: Limes e la geopolitica, Le monde diplomatique, The Economist, i viaggi in Europa. Quando ho scritto la tesi ho scelto una materia giuridica ma nuova: il diritto dell’Unione Europea. E mi sono rifiutata di scrivere di cavilli giuridici, di argomenti ipertecnici. Dei diritti umani. Dei diritti fondamentali dell’uomo volevo scrivere. E quella tesi scritta un po’ di getto, maturata in realtà un po’ nel tempo è stata la chiave di passaggio al mondo del lavoro. Pochi mesi dopo la laurea, un bando nazionale, la mia tesi vince il concorso come migliore tesi di laurea in Italia. Mi ricordo ancora quella telefonata! E poi i miei genitori, intelligenti, ma non avevano avuto modo di studiare, mia madre il diploma in ragioneria da adulta, mio padre la terza media. Insomma quando mi offrirono di iniziare la carriera universitaria sembrò quasi un sogno”.
A.C. – Ad ogni modo dentro di te sentivi che la strada che avevi imboccato non era quella giusta e hai ricominciato nuovamente da zero, questa volta però scegliendo di fare qualcosa che ti facesse sentire VIVA…
A.R. – “Fu strano. Ho lavorato per 12 anni come assistente, dottoranda, docente a contratto e poi ricercatrice all’università di Roma Tor Vergata ma era come spegnersi ogni giorno un po’ di più. Anche il lavoro a Londra per un anno al King’s college, la partecipazione international Moot Court, la pubblicazione degli articoli in varie riviste, anche inglesi, anche le lezioni, gli esami, il contatto coi laureandi, niente… sentivo di annaspare. E mi appassionavo alla fotografia, alla pittura, all’acquarello, alla creazione con la creta, al découpage… mille infiniti mondi pur di “vivere”. L’inquietudine è finita solo quando un giorno di gennaio, non so perché, non so per come, senza avere amici che facessero gli attori, mi recai in una scuola di recitazione, di “uno bravo, il migliore che c’è”, mi avevano detto. Il 2010. Sono nata o rinata quel giorno. Il mio insegnante mi dice che alla seconda lezione avevo già deciso che nella vita avrei fatto l’attrice. Ma avevo 34 anni! La vita era già lì. Per molti era una vita già scritta, era tutta nella storia del mio passato”.
A.C. Il 13 gennaio 2010 però sei rinata, possiamo dire…
A.R. “Da quel giorno, che ancora ricordo, il 13 gennaio 2010, la mia vita è cambiata per sempre. Tutti, con il cuore claustrofobico, gli occhi amorevoli e miscredenti, hanno tentato di dissuadermi. Ma si può scoprire la felicità di “riconoscersi”, si può capire di avere il coraggio di guardarsi dentro davvero, e di cambiare strada. Un’improvvisa virata. E si può avere questo coraggio a qualunque età. “Lo avessi scoperto a 50 anni non avrei esitato a combattere per lo stesso identico motivo”. Ho l’euforia dei 20 anni, la coscienza e l’esperienza di una vita di lavoro di ricerca e di relazioni, gli occhi e il cuore come infanzia. E mi sento VIVA”.
A.C. – Grazie Annalisa per il tuo tempo e a presto.
A.R. Ti voglio bene cara Anna.
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