Ciò che è giusto ma non convince fino in fondo nelle parole di de Magistris
Tutto questo sembra essere molto bello. Finalmente in Italia e nell’Europa dell’euro sembra muoversi qualcosa, in contemporanea al risveglio dei movimenti studenteschi, a una rinnovata aggressività dei centri sociali e via dicendo; ma è veramente così rosea e promettente la situazione? La Coalizione sociale sarà finalmente una nuova istanza politica, una nuova identità, un nuovo soggetto politico, degno di questo nome? De Magistris, come al solito, si fa prendere dall’entusiasmo, ma è comprensibile per un uomo che non è più né un magistrato né un leader per un’identità; fatto sta che quando scrive che un’alternativa alla tecnocrazia, in altre parole una politica possibile, si può trovare solo in quella massa di individui fuori i partiti, ai margini della società del benessere, negli sfruttati non rappresentati minimamente, nei delusi dai sindacalismi e in tutti coloro che, difficoltà a parte, sono riuscite a mettere insieme in associazioni diverse domande sociali, non è del tutto errato;
Il sociologo Löwenthal scrisse nel 1936 ciò che de Magistris scrive oggi
il sociologo della Scuola di Francoforte Löwenthal, in un articolo pubblicato in Francia nel ’36, scrisse praticamente lo stesso e riconobbe nel movimento fascista, l’unica identità che in Italia riuscì ad organizzare, egemonizzare, omogeneizzare in un soggetto politico tutta una serie di domande sociali (insoddisfatte dal sistema liberale, dai socialisti e dai comunisti), altrimenti impotenti perché non unite e disorganizzate.
Cosa è una Coalizione sociale e, soprattutto, può cambiare l’Italia?
Dunque ciò che ad un certo punto scricchiola, non regge, nel ragionamento di de Magistris è che una Coalizione sociale, un’accozzaglia di istanze sociali, non è un soggetto politico, capace di fare un unico blocco contro il sistema per dare una svolta al Paese. Inoltre non c’è politica se non c’è lotta e, allo stesso tempo, le lotte per i diritti non sono la stessa cosa delle lotte sociali e, in ultima istanza, politiche. Ciò che manca alla Coalizione sociale – e che la farà fallire se Landini non pensasse seriamente a inventare su condizioni esistenti un vero soggetto politico – è l’unità, una omogeneità, una identità egemonizzante, capace di condurre individui più o meno simili, più o meno socialmente accomunati, a lottare in un’inamovibile e irrefrenabile organizzazione per un progetto di emancipazione dall’attuale sistema di sfruttamento.
La Coalizione sociale di Landini rischia di essere un qualcosa molto simile al Movimento 5 stelle, ovvero un movimento di associazioni e individui troppo diversi e privi di un’identità, incapaci di poter organizzare la frustrazione e la violenza dei cortei di sfruttati sotto il segno di un leader, e che non possiede ne la forza né la convinzione di poter accettare un certo margine di lotta violenta (ma finalizzata) – come invece hanno capito gli operai degli Acciai Terni, indispensabile per poter strappare dai privilegiati un sistema più giusto. La Grecia insegna come la mancanza di un’unica identità egemone può portare alla vittoria elettorale ma a una definitiva capitolazione politica di fronte l’Europa dei tecnocrati.
Ecco perché la Coalizione sociale non è un soggetto politico
De Magistris scrive su Facebook che la Coalizione sociale, l’insieme delle associazioni “è l’alternativa politica al sistema che ormai da troppo tempo governa il Paese e che ha un filo conduttore identitario nelle politiche liberiste alle quali mi pare che Landini e le persone lì presenti si trovano sicuramente d’accordo“. Calando un velo pietoso sull’uso del termine “politiche liberiste” di Landini e Associazioni unite (parola che esprime tutt’altro da quello che pensa il sindaco di Napoli), diciamo come non esiste nella Coalizione sociale alcun filo identitario. Un insieme di domande sociali non possono fare un soggetto politico, a meno che non lo diventino costruendo un’identità che, al contrario della Lega di Salvini ad esempio, si faccia portavoce di un credibile e storico progetto di emancipazione.
Se non si ritorna a pensare politicamente l’alternativa identitaria, la Coalizione sociale fallirà
Ciò che Landini e de Magistris e le associazioni devono iniziare a capire è che i soci non sono politici e che “l’insieme di associazioni come Libera, Giustizia e Libertà, Emergency, Articolo21, Arci, Gruppo Abele, Legambiente, Act, Comitato per una legge popolare sulla buona scuola, sigle del mondo sindacale studentesco, ex senatori M5S, professionisti ed altre realtà attive nei territori“, non avranno la forza, la coerenza, la convinzione organizzata, per poter lottare contro il potere del berlusconismo renziano venduto al soldo della tecnocrazia europea.
Scrivere ad esempio come fa de Magistris che, “non un nuovo partito ma piuttosto uno spartito ancora da scrivere a tante mani con l’obiettivo di promuovere partecipazione, organizzare l’opinione pubblica e fare politica per ottenere risultati concreti nazionali o in singoli territori lottando insieme per i diritti, il lavoro, la democrazia, l’istruzione, la salute, i beni comuni, la cultura, la giustizia” non significa nulla e nasconde una delusione più grande per chi vorrà crederci.
Libera, il 21 marzo a Bologna e il 28 marzo a Roma, organizzerà con la Fiom-Cgil, delle riunioni-mobilitazioni contro il Jobs act. Ci auguriamo che in queste sedi si cominci finalmente a fare politica per capire che non esistono alternative politiche senza lotte sociali, non esistono svolte nazionali se non si unisce il paese, e soprattutto se si smettesse finalmente di credere che le masse capaci di cambiare il sistema Italia e di far tremare il parlamento al suon di suolo calpestato nelle piazze si trova al Nord e nelle fabbriche, invece che nel Mezzogiorno e negli schiavi del lavoro non pagato costretti a migrare.