Il dott. Alfonso de Nicola, ex medico sociale del Napoli, ha rilasciato una interessante intervista ricca di spunti significativi nel corso della diretta di Campania nel Pallone – Live, al collega Marco De Luise, affrontando la difficile situazione che il calcio sta affrontando, il tema protocollo e la responsabilità dei medici oltre a ripercorrere le tappe più importanti dell’epoca De Laurentiis.
Dottore, un suo ricordo della finale di Coppa Italia Napoli Juventus del 20 maggio 2012
“Emozione unica, credo di aver vissuto una delle migliori epoche del calcio e del calcio Napoli. Quel giorno lì ero contentissimo, abbiamo avuto un affetto da parte dei tifosi, un abbraccio straordinario. Roma era piena di napoletani: quando siamo tornati la festa fu quasi uguale a quella della promozione in A.
Quale sarebbe stata la sua reazione all’attuazione del tanto discusso protocollo?
“In genere io sono contrario ai protocolli, perché siamo tutti diversi, così come siamo diversi dai francesi e dai tedeschi o inglesi. Addirittura, siamo diversi qui, fra sud e nord. Come si può fare un protocollo che sia uguale per tutti? In Germania avevano persino sottovalutato il problema coronavirus. Sulle responsabilità dei medici avrei risposto che non me la sarei presa la responsabilità e mi sarei anche dimesso.
Non è giusto che siano addossate responsabilità ai medici: ne abbiamo tante anche con un semplice raffreddore o con la febbre. E chiaramente queste responsabilità si traducono in interessi: i medici sociali sono l’ultima catena del sistema calcistico. Il calcio è una delle aziende più forti. Io dico: se il calcio è forte, perché vogliamo distruggerlo? Credo che giocando questo sistema lo distruggeremo. Giocare a porte chiuse significa distruggere lo sport. Non esistono più partite giocate in casa o in trasferta, il fattore campo viene a mancare. Il 30-35% del pubblico adesso è femminile: perché andare allo stadio significa aggregazione, il concetto è stare insieme e al sud abbiamo ancor di più questa esigenza. Un napoletano vuole vincere il campionato perché c’è bisogno di festeggiare.”
Cosa pensa dell’attuale tecnico del Napoli Gennaro Gattuso?
Il leader vero è quello che si assume le responsabilità, non che le scarica. A Napoli abbiamo un ragazzo come Gennaro Gattuso che ha davanti a sé una carriera stupenda, perché si assume le responsabilità. L’efficienza che noi medici abbiamo avuto è stata concessa dalla società del Napoli. La possibilità di lavorare veramente bene mi è stata concessa da De Laurentiis. Una sorta di “tu fatti la squadra tua”, con piena fiducia. Al presidente è piaciuta la proposta di lavorare scientificamente, andando a vedere le statistiche degli infortuni e cercando di prevenirli.
Il Benevento nei prossimi anni può diventare una realtà solida del nostro calcio?
“Il Benevento è una società solida e può aspirare se gestita bene, se acquistano i giusti giocatori. Se buttano la palla dentro è fatta, sennò è dura (ride ndr). Negli anni ho lavorato con tanti bravissimi allenatori, non solo a Napoli, ma anche a Bari una quindicina di anni. Ho lavorato con Perotti, Pascetti, Salvemini, Boniek, Giuseppe Materazzi. Lavorare insieme significa sedersi a tavolino e decidere. A Napoli ne ho avuti tanti, Reja, Mazzarri, Donadoni che mi piaceva molto come metodo di lavoro. Ma a volte ci vuole un minimo di fortuna. Non era il momento giusto per Roberto. Secondo me a Napoli ci siamo divertiti molto.”
Come avrebbe visto Max Esposito ( anche lui ospite di Campania Nel Pallone-Live) nel Napoli di De Laurentiis?
“L’avrei visto bene in qualsiasi ruolo nel Napoli di De Laurentiis. Una volta ci fermammo a mangiare a Soccavo e mi chiese di una caviglia, con una calcificazione enorme. Lui ci giocò tutto l’anno. Questo a testimonianza della brava persona. Aveva una pietra, un sacco grosso così alla caviglia (ride ndr). Lui ci giocava tranquillamente e mi stupivo di come non si gonfiasse.”
Nel primo anno di Ancelotti il Napoli è arrivato al secondo posto mentre invece quest’anno c’è stato un crollo vertiginoso. Come si spiega questo cambiamento?
“Da quando è andato via Hamsik secondo me è finito tutto. Hamsik ha sostituito Jorginho, non faceva più la mezz’ala e faceva meno gol. E’ da quando è andato via Marek che si è persa la qualità in mezzo al campo (Gennaio 2019). Hamsik non era un capitano che attaccava gli altri al muro, ma era un esempio vero. Molti lo hanno seguito. Marek era di pochissime parole, ma con un esempio reale. Arrivava prima, lavorava più degli altri e quando veniva messo fuori stava zitto. Una volta era una semifinale di Coppa Italia contro la Lazio e non fu messo in formazione da Benitez. Come tutti i ragazzi ci rimase male. Il mister fece giocare De Guzman anche se aveva giocato 4 giorni prima. Lui rimase zitto tranquillo, senza arrabbiarsi: era un esempio vero in spogliatoio e in campo. All’inizio aveva l’ammonizione facile, poi capì che era un limite. A me piaceva perché lavorava cercando di migliorarsi giorno per giorno. A lui sono legati molti ricordi da Doha all’altra finale di Coppa Italia. Lui è un vincente, ma non sa nemmeno lui perché, però è vincente.”
Ci pensa mai ad un suo ritorno a Napoli?
“Se mi chiamano sono disponibile, ho rifiutato anche offerte di società importanti. Napoli è il sogno di una vita. (Su Ghoulam) Faouzi fino a giugno dell’anno scorso è sempre stato convocato. Non so cos’è successo quest’anno se ha avuto un problema fisico e mentale. Il più delle volte un problema fisico diventa anche mentale. E’ un ragazzo sicuramente per bene, cosa che quando prendevamo i calciatori guardavamo sempre. Il presidente mi chiedeva sempre cosa ne pensassi caratterialmente. La valutazione tecnica veniva fatta da Giuntoli o a Bigon, ma quando si trattava di valutazioni caratteriali intervenivamo anche noi. Il carattere è sempre stato al centro di tutto, da Pierpaolo Marino, colui che ha impostato la società. Lui mi diceva -Puoi dirmi tutto di tutto-, ma non puoi dirmi mai che è rotto o che sia un elemento disturbante.”
Il ricominciare il campionato, riportando l’intensità a certi livelli, può creare problemi fisici tra luglio e agosto?
“Sicuramente sì. Se non si lavora veramente bene è dura. Innanzitutto, bisogna fare delle valutazioni personalizzate. Per me l’allenamento è un vestito su misura. Rimane il fatto che se hai delle doti e devi risvegliarle, devi stare attento. Molti dei ragazzi hanno bisogno di arrivare al limite per rendere.”