Dopo gli ultimi tragici avvenimenti e le rivolte tra gruppi di locali e immigrati avvenute a Castel Volturno a metà luglio, dove due africani sono stati feriti a colpi di pistola, siamo andati sul posto per dare voce a chi veramente vive e opera il territorio concretamente.
Prima tappa a Casal di Principe, dove Michele Docimo, giornalista, caporedattore di “Notizie Migranti” un giornale interculturale nato da un progetto dell’associazione “Jerry Essan Masslo” che ha sede a Casal di Principe, opera da anni sul territorio di Castelvolturno interagendo con gli immigrati.
Michele ci accoglie nel bene confiscato, che presto sarà la nuova sede della NCO, Nuovo Consorzio Organizzato, un progetto sociale legato al nome di Peppe Pagano, giovane casalese che ha fatto e fa per la sua terra e per il sociale.
Con semplici parole, ma con impegno concreto, Michele racconta la sua esperienza sul campo e le innumerevoli difficoltà che incontra ogni giorno.
Pur di portare avanti i progetti che prevedono, oltre che alle problematiche con gli immigrati, anche quelle legate ad un territorio martoriato dalla camorra.
Raccontare un territorio, e le storie di chi vive la condizione di “clandestino ed extracomunitario ” anche se sono due sostantivi che ledono la dignità umana, anche se dovremmo imparare a non usarle più.
Dovremmo pensare all’immigrazione come ad una risorsa, non un problema. Dovremmo capire che un cambiamento culturale vero è ciò che serve. Dovremmo avere il coraggio di riconoscere le colpe e chi le ha.
Raccontare e capire perché esiste questa “connivenza e convenienza” tra chi è originario del territorio e chi viene qui a cercare un riscatto ed un guadagno . Con Michele lasciamo la sede della NCO, diretti a Castelvolturno, al centro “Fernandes” della Arcidiocesi di Capua, che accoglie immigrati di ogni provenienza e dove operano molte associazioni legate a questa tematica.
Dov’è c’è l’unica chiesa Cambogiana in Europa.
Ed è li, che dopo pochissimo ci raggiunge Alessandro Buffardi, giovane neo consigliere di Castelvolturno ed impegnato nell’associazione Jerry Masslo.
Alessandro avanza verso di noi, lentamente, sorridendo a noi ed ai giovani Africani e non, che sono fuori al patio alla ricerca di un po di fresco, in questo pomeriggio afoso e caldissimo di luglio.
Immersi tra pini e palme, su tronchi e spartane panche, tra giovani donne nei loro kikoi e kanga coloratissimi mischiati ad abiti occidentali, le loro bellissime acconciature, i volti fieri ma segnati da mille dolori, decidiamo di sederci sui gradini del “Fernandes”, quasi quel marmo, fosse capace di darci un po di refrigerio, ed in un ronzio di mosche e zanzare, improvvisamente devo realizzare che sono in Italia, non in Africa.
Alessandro è appena uscito dalla Casa di Alice, il bene confiscato gestito dalla cooperativa “Altri Orizzonti” che ha creato il marchio “Made in Castelvolturno”, dove vi sono i ragazzi dei campi di Libera impegnati con i campi estivi.
A vederlo e sentirlo parlare viene da chiedersi se è veramente il giovane che anagraficamente è, o un Dorian Gray moderno.
Ed è un fiume in piena con i racconti della sua esperienza, del suo impegno, delle difficoltà, degli immigrati e della loro integrazione, di storie reali, della strage del 2008, si perché Alessandro conosce i fatti, perché lui ci vive a Castelvolturno.
Ci racconta degli immigrati che sono stati feriti, ma che non possono essere, almeno per il momento, essere intervistati.
Ci parla della sua voglia di restare, avrebbe potuto andarsene se avesse voluto, ma ha scelto di restare per amore della sua terra.
Come Don Peppe Diana, mi viene da pensare, e come tutti gli altri che ogni giorno sono li al loro posto, per la loro terra, per se stessi e per gli altri.
Ed anche per quella terra africana che deve essere diventata come uno squalo che tutto divora.
Ed è proprio Michele che mi ricorda, per la seconda volta oggi, del poeta Somalo, Warsan Shire e della poesia Casa.
-“nessuno lascia la casa a meno che la casa non sia la bocca di uno squalo….”-
E con questa frase, ed i nostri occhi che guardiamo un territorio che non può più, e sempre essere considerato di frontiera.
di Anna Copertino e Paola Cipolletta
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