Don Pino Puglisi, un prete rompiscatole

In ricordo di un prete scomodo

0
2843

Il 15 settembre 1993, veniva ucciso dalla mafia, davanti al portone di casa don Pino Puglisi.
Era il giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, erano circa le 23,00, don Pino era sceso dalla sua automobile e stava dirigendosi verso il portone della sua abitazione, nella zona est di Palermo.
Sulla base delle ricostruzioni, don Pino Puglisi  venne chiamato per nome, allorquando si voltò, qualcun altro gli scivolò alle spalle e gli esplose uno colpo alla nuca.
Come una vera e propria esecuzione mafiosa.
Ad uno che nulla aveva a che fare con la mafia.
I funerali si svolsero il 17 settembre 1993.
Il 2 giugno 2003, a distanza di 10 anni dalla sua morte,qualcuno murò il portone del centro “Padre Nostro”, nato nel 1993 a Brancaccio,  con dei calcinacci, lasciando gli attrezzi vicino alla porta.

La sua vita

La vita di padre Puglisi rappresenta un pezzo cruciale, ma spesso poco conosciuto, della vita del nostro Paese, dalla sua parrocchia nella periferia di Palermo, il prete di Brancaccio si oppose senza sosta alla sopraffazione mafiosa che stravolgeva la città. Il 29 settembre 1990 venne  nominato parroco a San Gaetano, nel quartiere Brancaccio di Palermo, che era controllato dalla criminalità organizzata attraverso i fratelli Graviano, capi-mafia legati alla famiglia del boss Leoluca Bagarella: qui inizia la lotta antimafia di padre Giuseppe Puglisi.

Egli non tentò di portare sulla “giusta via” chi si era già colluso con il vortice della mafia, ma cercò, con tutte le sue forze, di non farvi entrare i bambini che vivevano per strada e che considerano i mafiosi degli ” idoli, persone che si fanno rispettare.”
Don Puglisi, attraverso attività e giochi, fece loro capire, che si poteva ottenere rispetto dagli altri anche senza essere criminali, semplicemente per le proprie idee e i propri valori.

Senza paura

Senza timore alcuno, spesso si rivolse ai mafiosi durante le sue omelie, e talvolta anche dal sagrato della chiesa.
Don Puglisi tolse dalla strada ragazzi e bambini che, senza il suo aiuto, sarebbero stati risucchiati dalla vita mafiosa, e impiegati per piccole rapine e spaccio. Il fatto che lui togliesse giovani alla mafia fu la principale causa dell’ostilità dei boss, che lo consideravano un ostacolo.  Decisero così di ucciderlo, dopo una lunga serie di minacce di morte di cui Don Pino non parlò mai con nessuno, e che emersero solo dopo il suo assassinio. E per questo il 15 settembre 1993 fu ucciso dallo stesso clan che organizzò gli omicidi di Falcone e Borsellino e gli attentati di Roma, Firenze e Milano.
Mandanti dell’omicidio furono i capimafia Filippo e Giuseppe Graviano, arrestati il 26 gennaio 1994.

Le condanne degli assassini

Giuseppe Graviano venne condannato all’ergastolo per l’uccisione di don Puglisi il 5 ottobre 1999. Il fratello Filippo, dopo l’assoluzione in primo grado, venne condannato in appello all’ergastolo il 19 febbraio 2001. Furono condannati all‘ergastolo dalla Corte d’assise di Palermo anche Gaspare Spatuzza, che confessò  di -“avere sparato il colpo alla nuca”- Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone, gli altri componenti del commando che aspettò sotto casa il sacerdote.
Lo stesso Gaspare Spatuzza, raccontò che le ultime parole di don Pino prima di essere ucciso, furono con un sorriso: “me lo aspettavo“.

Prete e insegnante

Don Pino Puglisi, nella sua vita conciliò sempre la sua attività di vice parroco e di parroco con l’insegnamento in varie scuole.
La prima volta che entrò nella baraonda di una classe aveva uno scatolone vuoto sotto il braccio.
In silenzio, lo posò per terra. E mentre i ragazzi, zitti, lo guardavano, lo pestò con un piede. “Avete capito chi sono io?”, domandò. “Un rompiscatole“, concluse sorridendo. Questo era Don Puglisi.
Spessore umano e spirituale, il carisma di educatore, la passione per il riscatto sociale degli emarginati. Per i laici, padre Puglisi è oggi un esempio sulla strada della legalità e dei diritti civili. Per i credenti, è il profeta di una Chiesa che – come ha chiesto papa Francesco – “deve essere un’alternativa d’amore, povera e per i poveri“.

Dopo vent’anni finalmente è beato

Tutti noi dovremmo imparare a riconoscere, anche, le nostre responsabilità, responsabilità non solo dirette ma indirette, riferibili a quel “peccato di omissione” che consiste nell’interpretare in modo restrittivo e puramente formale il nostro ruolo di cittadini.
Imparare a non girare la faccia, mai.
A vent’anni di distanza dalla sua morte, la Chiesa ha concluso una storica causa di beatificazione e ha riconosciuto padre Puglisi come primo martire della criminalità organizzata.
Ogni anno nella Giornata della  Memoria organizzata dall’associazione Libera, si ricordano tutte le Vittime Innocenti di criminalità, il nome di Don Pino Puglisi viene ricordato insieme a tutti gli altri nomi , circa 900, di vittime innocenti delle mafie, semplici cittadini, magistrati, giornalisti, appartenenti alle forze dell’ ordine, sacerdoti, imprenditori, sindacalisti, esponenti politici e amministratori locali morti per mano delle mafie solo perché, con rigore e coerenza, hanno compiuto il loro dovere.